In una recente intervista alla rivista Science, Anatolii Nosovskyi direttore dell’Istituto per i problemi di sicurezza delle centrali nucleari (ISPNPP) a Kiev, si è detto preoccupato dalla possibilità che materiale radioattivo sottratto presso il villaggio di Chernobyl venga utilizzato per fabbricare delle cosiddette “bombe sporche” ad alto potenziale. Le bombe sporche sono ordigni che mescolano materiale radioattivo ed esplosivo. Nel caos dell’avanzata russa, ha detto Nosovskyi a Science, saccheggiatori hanno fatto irruzione in un laboratorio di monitoraggio delle radiazioni nel villaggio di Chernobyl, apparentemente scappando con isotopi radioattivi usati per calibrare strumenti e pezzi di scorie radioattive che potrebbero essere mescolate con esplosivi convenzionali per formare le bombe sporche in grado di diffondere la contaminazione su una vasta area.

Nosovskyi ha aggiunto che l’ISPNPP ha un laboratorio separato a Chernobyl con materiali ancora più pericolosi: “Potenti sorgenti di radiazioni gamma e neutroni” utilizzate per testare i dispositivi, così come campioni intensamente radioattivi di materiale rimasto dalla fusione dell’Unità Quattro del sito nucleare. Nosovskyi ha affermato di aver perso i contatti con il laboratorio, e ha aggiunto che quindi “il destino di queste fonti ci è sconosciuto”. Interrogato sul punto, Emilio Santoro, fisico nucleare, ex-direttore responsabile del reattore di ricerca TRIGA RC-1 del Centro Enea Casaccia, ha chiarito: “Quella della bomba sporca potrebbe essere in effetti una possibilità, seppur estrema e folle. Resta da valutare sempre il cui prodest? di un’azione come questa. Chiaramente, rispetto all’uso di sole sorgenti di calibrazione, utilizzare del combustibile esausto avrebbe conseguenze più estese ma comunque sempre locali. Per avere effetti transfrontalieri, il contaminante dovrebbe entrare nel grande circolo atmosferico e perché questo avvenga, deve prodursi una bassa pressione locale per calore molto intenso e soprattutto duraturo. Le condizioni del 1986 sono state così particolari da essere difficilmente ancora riproducibili. Soprattutto a Chernobyl.

“Oltretutto – aggiunge Santoro – determinare il grado di pericolosità delle eventuali bombe sporche in questione è tutt’altro che semplice: “Innanzitutto, occorrerebbe sapere che tipo di esplosivo verrebbe utilizzato e in quali quantità. A questo, ci sarebbero da aggiungere informazioni sul tipo di elementi radioattivi utilizzati per ‘contornare’ l’esplosivo convenzionale. Usare sorgenti di calibrazione sarebbe solo relativamente efficace, visto che in genere si tratta di sorgenti in origine sigillate e a non alta radioattività, a parte quelle, come ad esempio il radio, utilizzate magari per tarare monitor di controllo ambientale, che sono più intense. Il fatto è che per fabbricare una bomba sporca, bisognerebbe essere molto esperti: trattare combustibile irradiato non è da tutti. Occorre sapere come portarlo via e non è così semplice da maneggiare. Ci sono procedure delicate da seguire per non ricavarne danni molto gravi, per gli stessi attentatori. “Ad ogni modo in un malaugurato scenario di esplosione, ci sarebbe certo contaminazione nel raggio di azione dell’esplosivo, dovuto alla polverizzazione e al fallout locale. La durata degli effetti contaminanti dipenderebbe dall’inventory dei prodotti. Si potrebbe escludere la presenza di iodio 131 rispetto al bilancio dell’esplosione del 1986, perché ormai non dovrebbe essercene poi molto (ha una emivita di otto giorni). Troveremmo cesio 137, stronzio 90, che hanno una emivita di trent’anni circa. Più problematica sarebbe la presenza di plutonio, che però è più pesante e avrebbe presumibilmente un raggio d’azione più limitato. Se venissero usati invece rifiuti irraggiati (convenzionali), l’intensità di radiazione – quasi tutta gamma – dipenderebbe dal tipo di materiale di risulta utilizzato, dalla sua disponibilità a essere attivato e dai tempi di decadimento dall’attivazione iniziale”.

Gianmarco Pondrano Altavilla

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