“Aumentare le spese militari nei singoli Paesi senza porsi il problema di una difesa comune europea vuol dire sprecare un’occasione storica”. La vede così Marco Cappato, storico leader radicale e nonviolento e presidente di Eumans, il movimento paneuropeo di cittadini per la democrazia. Cappato si dichiara da un lato favorevole all’invio di armi in Ucraina, dall’altro scettico sull’ordine del giorno approvato dalla Camera per aumentare gli investimenti nella difesa nei prossimi anni fino a raggiungere il 2% del Pil, come prevede una dichiarazione congiunta sottoscritta dei leader della Nato nel 2014. “La guerra NON dimostra la necessità di aumentare le spese militari, ma la necessità di una difesa europea, tagliando sovrapposizioni e spese inefficienti drogate da industrie belliche di Stato (che sono state spesso in affari con Putin e coi peggiori dittatori in questi anni)”, ha twittato il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.

Ad aumentare le spese militari, però, ci impegna l’Alleanza atlantica.
Se la Nato chiede di destinare alla difesa una quota del Pil non lo fa per un vezzo contabile, ma per garantire l’efficacia del patto militare: vi impongo uno standard perché voglio vedere che fate sul serio. Se l’Unione europea, nel suo complesso, arrivasse a spendere anche meno del 2% ma per una difesa comune più efficace, l’obiettivo sarebbe raggiunto comunque. Finora però gli Stati membri non hanno dato segni di voler inaugurare una sinergia. Anzi, mentre le spese militari crescono diminuiscono i progetti di collaborazione. Così in ogni Paese la fanno da padroni i colossi dell’industria bellica, come Leonardo e Finmeccanica, che accrescono il loro potere e guadagnano un sacco di soldi. Dal loro punto di vista è giusto così: le aziende fanno i propri interessi. Quello che manca però è la politica, che dovrebbe imporre una logica civica europea, come si sta tentando di fare nel campo dell’autonomia energetica.

Come dovrebbero muoversi allora gli Stati Ue?
La tragedia della guerra è un’occasione per fondare un nuovo modello di politica estera e di difesa comune paneuropeo. Un modello che includa anche soluzioni non belliche, cioè non basate soltanto sulle armi – che pure continueranno a essere necessarie – ma anche su strumenti di difesa nonviolenta e di prevenzione dei conflitti, come i corpi di pace o le spese per l’informazione: pensiamo a quanto sarebbe importante portare un’informazione indipendente in Russia. Invece noi ci limitiamo ad aumentare le spese militari, peraltro in una situazione di risorse economiche scarse, senza porci il problema di fare fronte comune e nemmeno quello di integrare i sistemi militari nazionali.

Un esercito comune europeo, però, sfiderebbe quello statunitense come forza egemone della Nato. Come la prenderebbero a Washington?
Dipende di che America parliamo: quella di Biden non è più quella dell'”America first” di Trump, a cui importava solo di difendere propri interessi. Dovremmo proporre un percorso comune agli Usa e alle altre democrazie d’oltreoceano, come Canada, Giappone o Australia: in questo modo la difesa comune europea potrebbe persino essere sostenuta dalla Casa Bianca, perché non sarebbe una sfida nei suoi confronti, ma un contributo a rafforzare il fronte democratico internazionale. Magari poi nel dibattito interno agli Stati Uniti qualcuno continuerebbe a vederla male, ma sarebbe un problema loro, non nostro. Sul lungo periodo io immagino un’alleanza militare europea come parte integrante della Nato e una Nato come alleanza di democrazie occidentali, che sappia prendere posizioni nette – ad esempio – anche sulla degenerazione autocratica della Turchia di Erdogan.

Parliamo di noi, invece: le potenze militari europee sarebbero disposte a rinunciare ai propri eserciti?
Se l’iniziativa è lasciata in mano alle cancellerie e agli apparati, certamente la risposta è no. Ma se si coinvolgessero i cittadini sono convinto che l’integrazione verrebbe da sè: immaginiamo di far scegliere gli europei tra ridurre le spese militari, raggiungendo però una maggiore efficacia difensiva, e tenersi ciascuno il proprio esercito. Io penso che la gente non avrebbe pronta. Il tema è politico, anzi è democratico: non buttiamo via questa opportunità.

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