di Giuseppe Sciarra

Approcciarsi alla letteratura erotica implica sempre una serie di pregiudizi duri a morire anche per chi ha letto romanzi non per educande ed è avvezzo a storie di ogni sorta. Si tende sempre inizialmente a banalizzare questo genere di letture e a non volerne vedere la forte carica insurrezionale contro i dogmi, la moralità e il comune senso del pudore, soprattutto se parliamo dei classici del passato, di epoche lontane o prossime a noi, legate ad altri mondi ormai tramontati, almeno in parte poiché ben vividi nel nostro inconscio collettivo e nei nostri fantasmi.

L’amante di Lady Chatterley, Le 120 giornate di Sodoma, Thérèse Philosophe, sono opere che hanno fatto scandalo perché raccontano il piacere e l’istinto dell’uomo e della donna in maniera spontanea, oltraggiosa, lasciva, ma anche rivoluzionaria, femminista, queer. La grande letteratura erotica andrebbe insegnata nelle scuole, sarebbe un buon modo di introdurre i ragazzi all’educazione sessuale, alla conoscenza del proprio corpo in barba alla censura cattolica che lo ripudia e nega a una società laica di appropriarsi della propria sessualità liberamente e non in termini consumistici e mendaci.

Gamiani – Due notti di eccessi è un romanzo che per tanto tempo non ha avuto un autore certo, fu scritto in forma anonima nel 1833, si presume che l’autore del romanzo sia Alfred De Musset, poeta e drammaturgo tra i più importanti del romanticismo francese. La protagonista, la contessa Gamiani, donna lesbica dai forti istinti sessuali, si innamora ricambiata della quindicenne Fanny che seduce con violenza una notte nella sua casa.

A rompere gli equilibri delle due giovani e splendide donne, Alcide, un giovanotto dalla forte bramosia sessuale che inizialmente spia l’amore tra le due per poi vivere con entrambe ogni sorta di piacere sessuale ma anche di confessioni reciproche sulla scoperta della propria sessualità, spesso molte violente e traumatiche, a cominciare dallo stupro subito da Gamiani da un gruppo di monaci aizzati da sua zia perversa e ossessionata da lei.

Il romanzo piuttosto breve (conta all’incirca solo novanta pagine) è un’accusa alla castrazione che la società del tempo e l’educazione cristiana perpetuavano di generazione in generazione soprattutto sui figli della classe borghese e dell’alta società, demonizzando qualsiasi istinto sessuale spontaneo e attuando una violenza psicologica e costante contro le proprie vittime la cui colpa era quella di vivere la propria natura.

Attraverso una prosa semplice, raffinata che pesca dalla letteratura greca all’arte e fa più di un riferimento alle iconografie e ai riti cristiani canzonandoli, ma senza l’ombra di alcun tipo di volgarità, ci troviamo di fronte a una lettura interessante sulla scoperta del piacere e sui divieti barbari che una società che dicasi per bene impone ai suoi giovani. Un medioevo mai finito che oggi come ieri nonostante la libertà dei nostri costumi aleggia ancora nella mente di tanti censurando e stigmatizzando la libertà sessuale soprattutto delle donne.

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