Fossi ucraino, a farmi più paura sarebbe la solitudine. E le bombe, certo, le code alle pompe di benzina, i bancomat razionati, i primi villaggi senza luce e senz’acqua, i figli al fronte, i parenti distanti e senza telefono, la calca di rifugiati nei tunnel della metro, il governo che mi dice di procurarmi un’arma, mi chiede di farlo, i mezzi militari che attraversano la strada sotto casa, i piccoli rituali di un giovedì qualunque spazzati via. Ma soprattutto avrei paura della solitudine.

Perché so che a volermi privare del diritto a scegliere il mio governo, ad avere un esercito e un futuro indipendente, è una potenza che spaventa il mondo, figurarsi me.

È in corso un’ingiustizia grande quanto la Polonia del ’39: la vedono tutti eppure la combatte solo il popolo ucraino. Altre volte, per meno, il mondo che conta s’è indignato; per meno ha invaso Paesi esportando democrazie di polistirolo. Stavolta non lo farà, Biden l’ha detto chiaramente e tutti l’hanno sentito: se americani e russi cominciassero a spararsi, sarebbe la terza guerra mondiale. Putin, tagliente, ha minacciato lo stesso. Nessuno vuole tanto, nessuno può chiederlo.

L’Occidente sfiderà l’impero sovietico armato di un mazzo di sanzioni economiche, una sorta di guerra hippie con i fiori nei cannoni. Le sanzioni saranno applicate a tutta l’oligarchia russa fuorché a Putin, coi potenti del mondo che in tv lo attaccano ma in banca lo rispettano.

Aggiungiamo pure, diciamocelo almeno tra noi italiani, che una parte di quelle stesse sanzioni non le pagherà la Russia: le pagherà l’Europa più sfigata. Il mercato globale non può interrompersi ed è evidente che Paesi come l’Italia da una parte emetteranno condanne, dall’altra le pagheranno nella bolletta del gas.

Così il presidente ucraino Zelensky, in un discorso che non farà la storia – quella la scrivono i vincitori – ma che meriterebbe di farla, si è rivolto non ai potenti impotenti della terra, ma direttamente al popolo russo. Alcuni passaggi sono ruvidi quanto basta per non lasciare indifferenti: “Siamo diversi, ma questo non è un motivo per essere nemici. Ascoltate la voce della ragione. Il popolo ucraino vuole la pace. Non abbiamo bisogno della guerra ma se veniamo attaccati, se qualcuno tenta di portarci via la nostra terra, la nostra libertà, le nostre vite, la vita dei nostri figli, ci difenderemo. Non attaccheremo, ma ci difenderemo. Attaccando, vedrete i nostri volti, non le nostre spalle, ma i nostri volti. La guerra toglierà di mezzo le garanzie di tutti. Nessuno avrà più garanzie di sicurezza. Chi ne soffrirà di più? Le persone. Chi lo desidera di meno? Le persone. Chi non può permettere che ciò accada? Le persone”.

Oggi, più forte di Putin, c’è solo il suo popolo. Lo zar lo sa e negli anni ha tentato di narcotizzare la sua gente in una dittatura corrotta e ultranazionalista, omofobica e avvelenatrice, che non presuppone alternative. Ma non c’è ancora riuscito, non del tutto. Nel primo giorno di conflitto, a Mosca e a San Pietroburgo circa 1000 liberi cittadini russi sono stati arrestati per essersi macchiati dell’ignobile delitto di aver scandito “no alla guerra”. Un bavaglio che dovrebbe far indignare ogni russo di buon senso quasi quanto l’invasione d’un Paese sovrano come il suo.

La mobilitazione è partita sui social per affiorare in quasi 50 città, e sempre sui social sono già numerosi gli influencer russi ad aver chiesto pace. Soltanto pace, senza osare rimproverare nulla a Putin. Soltanto pace, che quella basterebbe.

È anche, è soprattutto, una guerra di comunicazione, con le notizie dal fronte che già si fanno impossibili da verificare. Eppure il popolo russo ha sul web ancora un certo diritto di parola, di protesta. Ha insomma ancora uno spiraglio per non sporcarsi le mani di sangue, per non cedere all’omertà, per non essere complice d’una vergogna storica. L’opinione pubblica sovietica è l’arma di questa guerra.

Certamente il governo russo ha mezzi per oscurare la rete, ha strumenti per pilotare il consenso, ma il web è come il mercato globale e non può semplicemente essere spento; non può essere ammanettato senza che ogni russo non capisca di essere prigioniero in fondo più di un ucraino.

Da un lato c’è un popolo che si batte per la sua libertà, dall’altra uno che potrebbe, dovrebbe farlo.
Fossi ucraino, a fianco a me vorrei un russo, per combattere insieme un nemico comune.

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