Abbiamo vinto un numero molto alto di medaglie, 17 (ma con soli due ori), arrivando vicino al nostro record di 20 podi ottenuti nella clamorosa Olimpiade di Lillehammer 1994. Se guardiamo alla quantità, abbiamo quasi ripetuto il bellissimo exploit dell’Olimpiade estiva di Tokyo e anche in questo caso sono mancati gli ori per poter fare un passo avanti decisivo nel medagliere. Pechino 2022 quindi è stata un’Olimpiade di medaglie, ma soprattutto di campionesse. Quattro azzurre non possono non guadagnarsi la copertina di questa edizione dei Giochi invernali: Arianna Fontana, Federica Brignone, Sofia Goggia e Francesca Lollobrigida (senza dimenticare, in coppia con Amos Mosaner, anche Stefania Constantini). Quattro campionesse enormi, molto diverse tra loro, che hanno sviluppato anche quattro narrazioni molto distanti, dal recupero miracoloso di Goggia, alla bravura polivalente di Brignone, dall’eternità raggiunta da Fontana alla nuova carriera che si è aperta davanti alla Lollobrigida.

Anche questa Olimpiade quindi ha fatto parlare molto di Italia, ha fatto appassionare in particolar modo per l’oro vinto nel curling, seguendo la scia magica della vittoria degli Europei di calcio e di quel primo agosto 2020 in cui Tamberi e Jacobs hanno cambiato per sempre la storia del nostro sport. Si parlerà di Italia anche alla fine dell’evento, perché la bandiera del Cio passerà dal sindaco di Pechino a quelli di Milano-Cortina: nel 2026 tocca a noi. E qui arrivano le note dolenti: se il discorso infrastrutture e logistica è un mondo a parte di cui parlare con efficacia in altri momenti, è giusto invece fare una riflessione sportiva a fine di Pechino 2022 per immaginare come arriveremo alla “nostra” Olimpiade fra quattro anni. Che sembrano tanti, ma in termini di programmazione sportiva sono nulla.

Le campionesse di cui sopra hanno 31 anni (Fontana, Brignone e Lollobrigida) e 29 anni Goggia. Nel 2026 i nostri assi che hanno letteralmente tenuto su la baracca italiana come riusciranno ancora a competere con atlete più giovani? Se su di loro, insieme a Federico Pellegrino, Dorothea Wierer (sempre classe 1990) e Omar Visintin (classe 1989), possiamo avere delle piccole remore legate all’anagrafe, come sono messi i giovani azzurri? Non benissimo a guardare Pechino 2022. Le nostre medaglie più giovani sono Stefania Constantini nel curling e Pietro Sighel nello short track, entrambi classe 1999, con il secondo che sembra essere il vero unico craque giovane che abbiamo a disposizione in questo momento.

Guardando in profondità tra le discipline poi, non c’è da stare troppo sereni. Nello sci alpino la bilancia è in parità, perché da una parte la nuova valanga rosa non è diventata d’oro solo per tracciati orrendi (soprattutto nel SuperG femminile) e sfortune varie, ma può guardare al futuro con fiducia. Tra gli uomini, invece, Dominik Paris non ha mai lottato per una medaglia e nelle discipline tecniche non si vede una luce. Tra 4 anni rischia di essere ancora peggio, soprattutto in discesa e SuperG. Nel biathlon Wierer ha portato la croce come sempre, i giovani hanno fatto vedere qualcosa ma niente di strepitoso. Nello sci di fondo, tolto il fenomeno Pellegrino, siamo al limite dell’inesistente. Lo slittino in Italia si chiama in questo momento Dominik Fischnaller, il pattinaggio di velocità ha raggiunto più della sufficienza e dovremmo trovare anche noi un campione per far paura di più agli squadroni, nello skeleton niente da segnalare nonostante Valentina Margaglio fosse arrivata in Cina con alte aspettative.

In combinata nordica, bob, salto semplicemente partecipiamo, qualcosa si è intravisto nell’area freestyle, mentre nello snowboard la squadra azzurra che poteva piazzare un uomo sul podio nel gigante parallelo si è fermata al quarto posto di Roland Fischnaller (classe 1980, giusto per ribadire il concetto). Qualcosa di interessante per una decisa crescita futura si è visto in Daniel Grassl nel pattinaggio di figura, la coppia Charlene Guignard-Marco Fabbri nella danza, così come in Leonardo Donaggio, quinto nel Big Air, e in Simone Deromedis, a suo volta quinto nello sky cross. Quest’ultime rappresentano forse la prestazione più futuribili di tutte.

A questa sensazione di ultima stagione d’oro delle discipline invernali, si è aggiunta anche una vena polemica davvero pesante durante l’intera manifestazione, che ha toccato diverse federazioni. Prima l’affaire Marsaglia-Casse nello sci alpino, poi le parole durissime di Fontana che ha raccontato di essere scappata in Ungheria per non farsi atterrare in allenamento, poi la diatriba da primedonne fra Brignone e Goggia. Questo clima cupo a Pechino ha retto, ma non è pensabile portarlo avanti per quattro anni. Lo ha spiegato con estrema chiarezza la stessa Fontana: “Altri quattro anni così io non li posso fare, vedremo se cambierà qualcosa, se ci saranno le basi giuste per poter continuare ad esserci come atleta”.

Abbiamo grandi campionesse, che hanno fatto quello che dovevano fare e anche di più, però in guerra con la federazione e tra loro. Alcuni campioni sono arrivati al capolinea o hanno tirato fuori la prestazione della vita, i giovani hanno scintillato troppo poco per una nazione che doveva far già vedere la squadra forte per la propria Olimpiade. In questo momento per non fare brutte figure a Milano-Cortina dobbiamo sperare che i nomi già fatti (e che si fanno da un decennio e più) abbiano voglia di continuare altri quattro anni per magari chiudere in bellezza in casa. L’alternativa è lavorare forsennatamente e da subito sui giovani che abbiamo intravisto e costruire nuove stelle. Entrambe le strade sono molto difficili da percorrere: servirebbero appunto nuove strutture e nuovi metodi di lavoro nelle federazioni. Ma restare a metà del guado sarebbe in ogni caso la scelta peggiore.

Articolo Precedente

Olimpiadi Pechino, Lollobrigida bronzo nella mass start femminile: è la diciassettesima medaglia per l’Italia

next
Articolo Successivo

Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026, da Federica Pellegrini a Gianmarco Tamberi: ecco lo spot di presentazione – Video

next