Nell’anniversario dei Patti Lateranensi (11 febbraio 1929) varrebbe la pena di “fare il punto” sulla situazione dei rapporti fra Chiesa e Stato e di riprendere con forza l’idea di abolire definitivamente “l’ora di religione” così come la conosciamo da sempre.

Due mi sembrano le possibili soluzioni:

1) sostituire l’ora di religione (cattolica) con una “ora delle religioni” (anche per tener conto della moltitudine di residenti in Italia che provengono da paesi con religioni diverse dalla nostra);

2) inserire ampi riferimenti alle religioni – con il debito spazio per quella cattolica, di gran lunga la più praticata in Italia – nelle ore di storia e filosofia o in quelle di educazione civica (un altro ruolo di insegnamento in cui la scuola italiana non sembra in grado di trovare sufficiente applicazione).

Per una dozzina di anni il giornalista (e presidente della fondazione Critica Liberale) Enzo Marzo ha realizzato un rapporto annuale sulla secolarizzazione della società italiana di cui gli eravamo grati, perché era la sola fonte di notizie attendibili su come cambiasse l’Italia nel rapporto fra credenti e non credenti. Dai dati dell’ultimo rapporto – che risale a due anni fa ed è stato sostanzialmente ignorato dalla stampa – risultava chiaramente che non c’era stato nessun “effetto Bergoglio” per frenare il processo di secolarizzazione: i dati che seguono sono disomogenei per anni di riferimento, perché sui diversi argomenti i rilevamenti non sono sempre relativi agli stessi anni. Le tendenze, comunque, sono chiare e clamorose.

Lo si desume in primo luogo dal calo dei matrimoni concordatari: se nel 1994 superavano l’80% del totale (235mila su 291mila), nel 2014 si attestavano al 56,9% (108mila su un totale di 189mila), con un calo anche rispetto al 2013, quando si erano fermati a quota 57,5%. Di contro sono progressivamente aumentati i matrimoni con rito civile: erano il 19,1% (55mila) nel 1994, superano il 43% (81mila) nel 2014. Cala anche il numero dei battezzati tra 0 e 7 anni sul totale dei nati vivi: un dato che in termini assoluti (-17mila, passando dai 395mila del 2013 ai 378mila del 2014) risente della generale diminuzione delle nascite ma che comunque registra un calo di tre punti in termini percentuali (dal 79,4% del 2013 al 76,6% del 2014).

Nell’ambito delle scuole cattoliche il numero di studenti è diminuito più della media nazionale. Il numero degli studenti che sceglie di avvalersi della religione cattolica a scuola continua a diminuire. Secondo il Ministero della Pubblica Istruzione, in Italia i ragazzi che scelgono di non avvalersi dell’insegnamento sono 560mila, il 21%, con un aumento di sei punti negli ultimi dieci anni, soprattutto al Nord (in alcune scuole della Lombardia “l’ora di religione” non esiste più per mancanza totale di richiedenti). E sappiamo che in molti casi la richiesta di esenzione non viene presentata solo per la mancanza di valide alternative all’“ora di religione”.

Eppure, se si guardano i dati del rapporto che la stessa Critica Liberale ha curato per molti anni su religioni e televisione, l’Italia appare come un Paese appassionatissimo ai temi religiosi, con un vantaggio (in realtà, una quasi esclusiva) per la religione cattolica, decisamente eccessivo in una società multirazziale e multireligiosa quale è divenuta da anni l’Italia. Riassumere i dati dei rapporti degli ultimi anni è assai difficile, per cui mi limito a pochi ma significativi esempi.

La presenza delle diverse religioni nei principali programmi di informazione: cattolica, 86,1%; musulmana, 11,1%; ebraica, 1,6%; altri, 1,2%. I programmi di fiction di argomento religioso e/o con protagonisti confessionali: su un totale di 894, 878 fiction sono cattoliche. È una realtà lampante anche per chi non vede spesso la televisione: dalla serie impegnativa de La Bibbia – più volte replicata – a quella interminabile e stucchevole di Don Matteo.

Per quanto riguardava i telegiornali, si registra nel corso degli anni un’impennata dei tempi di parola del Papa: se nel 2012 Benedetto XVI aveva totalizzato 16 ore, nel 2015 Bergoglio arrivava a più di 96 ore. E soprattutto nei tempi di notizia: nel 2015 papa Francesco arrivava a toccare quota 137 ore, contro il massimo (nel 2010) di 75 ore registrato da Benedetto XVI. Dati che andrebbero aggiornati per verificare se questi fenomeni si sono accentuati negli anni più recenti.

Un problema analogo è quello – su cui manca purtroppo una rilevazione approfondita come quella di Critica Liberale relativa alle religioni – dei temi inerenti i diritti civili, seguiti con discontinuità e solo di fronte a clamorosi “fatti di cronaca” dalla carta stampata e praticamente ignorati dalla televisione: non solo dalla Rai – che avrebbe un dovere più forte in quanto servizio pubblico – ma anche dalle televisioni private.

Naturalmente, questa scarsa attenzione della stampa per i diritti civili riflette quella dei politici. Uno degli esempi più clamorosi di questa “disattenzione” della politica è il comportamento del Parlamento dinanzi alla decisione della Corte costituzionale di non deliberare sul quesito relativo all’incostituzionalità dell’articolo 580 del codice penale (istigazione o aiuto al suicidio) ma di dare “un ultimatum” al Parlamento, quello di legiferare sull’eutanasia entro il 24 settembre del 2019 (siamo nel febbraio del 2022 e il Parlamento si è ben guardato dal legiferare, tanto che l’Associazione Luca Coscioni ha indetto un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, che dovrebbe tenersi entro la primavera e che così recita: “Volete voi che sia abrogato l’art. 579 del codice penale – omicidio del consenziente – approvato con R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398, comma 1 limitatamente alle seguenti parole “la reclusione da sei a quindici anni”, comma 2, integralmente e comma 3 limitatamente alle parole “Si applicano”?).

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