L’Africa potrebbe essere più vicina all’immunità di gregge di quanto non si immagini. A dimostrarlo sono (anche) i dati raccolti da Kondwani Jambo, immunologo del Malawi-Liverpool-Wellcome Trust Clinical Research Programme, sulla presenza di anticorpi tra i donatori di sangue del suo Paese. L’81% degli abitanti di Blyantre, una città popolata da oltre un milione di abitanti, aveva già incontrato il Covid-19 nel luglio del 2021 e lo stesso vale per la meno popolosa città di Mzuzu dove, come riportato da Repubblica, gli anticorpi erano presenti nel 71% della popolazione. Una ricerca realizzata nel 2021 a Bangui, capitale della Repubblica Centroafricana, ha individuato un tasso di sieroprevalenza di anticorpi anti Sars-CoV-2 del 74,1% nella popolazione esaminata, mentre una serie di studi epidemiologici realizzati nella prima metà del 2021 riferivano di una sieroprevalenza di anticorpi oscillante tra il 18 ed il 45 per cento.

In molti ritenevano che la pandemia avrebbe provocato una strage in Africa, dove i sistemi sanitari sono cronicamente fragili (a volte inesistenti) e dove i vaccini inoculati, circa dodici ogni cento persone, sono molti meno rispetto ai Paesi più ricchi. Nella Repubblica Democratica del Congo è stato immunizzato lo 0,2 per cento della popolazione, in Tanzania il 2,9% degli abitanti, in Sud Sudan il 2,2: percentuali simili sono registrate anche in Etiopia, Nigeria, Mali ed in tanti altri Stati. Le uniche eccezioni sono la Tunisia, dove oltre il 53% della popolazione ha ricevuto la somministrazione anti-Covid, il Botswana, dove la percentuale si abbassa al 45%, il Sudafrica (28%) e l’Egitto (poco più del 26 per cento).

L’ecatombe annunciata non ha, però, mai toccato il continente africano. I tassi di mortalità sono largamente inferiori a quelli registrati in Occidente. La presunta scarsa affidabilità delle rilevazioni statistiche locali è stata smentita da fonti autorevoli, come il The Economist, che hanno condotto indagini più approfondite e con risultati comparabili a quelli riscontrati in loco. L’Africa è stata protetta dalla tempesta pandemica da una serie di scudi che le hanno fatto superare momenti difficili. Ecco quali sono stati.

Il Covid colpisce in maniera sproporzionata gli anziani e l’Africa ha una popolazione molto giovane rispetto a quella delle nazioni occidentali. Gli abitanti del Niger, ad esempio, hanno in media 25 anni in meno di quelli del Regno Unito e la stessa proporzione è applicabile alla quasi totalità degli Stati della regione. Appena il 2% della popolazione ha più di 70 anni e la grande maggioranza delle morti provocate dal virus colpisce questa fascia di età. I Paesi ricchi, con una maggiore percentuale di popolazione anziana, sono stati i più colpiti e almeno in un primo momento il virus ha avuto effetti devastanti nelle case di riposo che ospitano i più fragili. Queste strutture in Africa non esistono e gli anziani, meno esposti al contagio, sono stati più protetti.

Il cancro, i disturbi cardiovascolari e quelli respiratori, tutte patologie che incrementano le possibilità di morire di Covid, sono rari tra gli africani che hanno così beneficiato della (quasi) assenza di fattori di rischio importanti. Alcuni scienziati americani e sierraleonensi ritengono inoltre che l’esposizione prolungata ai coronavirus potrebbe aver conferito una maggiore immunità alla popolazione africana. Esistono, infatti, almeno quattro coronavirus che circolano a livello globale causando infezioni respiratorie come i raffreddori. Si tratta di un’ipotesi intrigante, non dimostrabile con certezza ma suffragata dai risultati di uno studio che ha preso in esame i campioni di sangue di cittadini della Sierra Leone e degli Stati Uniti. I campioni sono stati esposti ai coronavirus e l’80 per cento di quelli sierraleonensi ha reagito dimostrando di esservi già entrati in contatto. L’immunità acquisita potrebbe avere un effetto protettivo nei confronti del Sars-CoV-2 e non è escluso che esistano altri coronavirus, sconosciuti e circolanti su larga scala in Africa, in grado di rinforzarla in maniera significativa.

I risultati di una ricerca, presentata all’incontro annuale dell’American Society of Tropical Medicine and Hygiene, hanno rilevato bassi livelli di sintomi gravi di Covid tra le persone esposte a Sars-CoV-2 in aree con presenza significativa di malaria in Mali e Uganda. Queste evidenze hanno portato a ipotizzare che precedenti esposizioni alla malaria potrebbero offrire uno scudo contro il Covid. Solamente il 5% dei pazienti Covid con una storia di esposizione significativa alla malaria ha sviluppato sintomi gravi oppure è morta mentre nel gruppo di chi non è stato esposto i dati sono stati molto più preoccupanti. Il 30% dei pazienti ha avuto un decorso severo oppure ha perso la vita. Nel corso dei prossimi mesi ed anni è probabile che nuove ricerche consentiranno di avere un quadro più chiaro su quanto accaduto.

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