Ogni anno, il 28 gennaio, si celebra la giornata europea della privacy, un diritto che, probabilmente, mai come in questa stagione della vita del mondo è stato ed è presidio e garanzia di altri diritti e libertà. Il quadro che abbiamo davanti è a tinte fosche.

Ci sono governi che non sanno resistere alla tentazione di far loro il principio machiavellico del fine che giustifica i mezzi e si abbandonano a forme di sorveglianza di massa. Utilizzano tecnologie sempre più pervasive, fornitori di servizi digitali che raccolgono e rivendono, direttamente e indirettamente, sui mercati globali quantità industriali di dati personali capaci di consegnare a chiunque la conoscenza, sempre più puntuale, di gusti, abitudini, preferenze di miliardi e miliardi di persone. Le stesse persone oggetto dell’azione di profilazione massiccia sulla quale si fonda il modello di business che tiene in piedi l’intero ecosistema digitale – incapaci, con poche eccezioni, di tracciare qualsivoglia solida linea di confine tra le tre dimensioni della nostra esistenza delle quali scriveva Gabriel Garcia Marquez: quella pubblica, quella privata e quella segreta.

Difficile in un contesto di questo genere identificare una priorità per affermare con forza la centralità e l’essenzialità del diritto alla privacy nella vita delle persone e delle democrazie. Forse, però, per non sbagliare – o almeno per andare il più vicino possibile a far la cosa giusta – potremmo dedicare questa giornata europea 2022 ai bambini, ai ragazzi e agli adolescenti perché loro, oltre a essere tra i soggetti più vulnerabili della nostra società, rappresentano anche il nostro futuro.

Internet, l’ecosistema digitale aumentato nel quale ormai viviamo immersi – quello che presto chiameremo metaverso, come ci ha da poco anticipato Mark Zuckerberg proprio mentre annunciava la decisione di ribattezzare Meta la sua creatura Facebook – rappresenta per tutti noi, più giovani in testa, uno straordinario volano di opportunità inimmaginabili fino a qualche decennio fa, ma al tempo stesso ci espone tutti – ancora una volta più giovani in testa – a rischi e pericoli egualmente inimmaginabili.

Il primo, forse il più urgente da affrontare e risolvere, è rappresentato dalla circostanza che i più piccoli, nella dimensione digitale, utilizzano servizi e frequentano piattaforme che sono progettate, disegnate, realizzate per persone più grandi di loro. Secondo un sondaggio commissionato dal Garante per la protezione dei dati personali a Skuola.net e condotto attraverso un questionario somministrato a oltre 2.500 giovani tra gli 11 e i 24 anni, quasi due ragazzi su tre si sono iscritti a un social network senza avere ancora l’età minima richiesta per accedervi. E nella maggior parte dei casi, naturalmente, nessuno li ha fermati per davvero. In queste condizioni la sicurezza dei più giovani, anche sotto il profilo del rispetto della loro identità personale, è inesorabilmente a rischio.

Ve la immaginate una realtà nella quale i bambini a otto, nove o dieci anni sono di fatto liberi di comprare sigarette, bere alcolici, portare il motorino o magari anche la macchina, lavorare, disporre della propria immagine benché decine di regole, frutto di battaglie etiche, culturali e democratiche durate in qualche caso secoli, lo vietino? Nella dimensione digitale, purtroppo, accade esattamente questo: non tutto è per tutti – proprio come nella dimensione fisica – ma nessuno controlla che ciascuno acceda e utilizzi servizi e piattaforme adatti alla propria età.

Il secondo dei rischi – e, anzi, ormai dei fenomeni dei quali specie i più giovani sono vittime accertate – è rappresentato dalla circostanza che nella sostanza – e al di là di pur rilevanti questioni di diritto – bambini, adolescenti e minori in genere “pagano” il loro diritto a stare connessi, a usare questo e quel servizio digitale, cedendo in maniera del tutto inconsapevole porzioni sempre più rilevanti della loro identità personale ai gestori dei servizi e delle piattaforme che popolano: acquistano il diritto a comunicare nella dimensione digitale, a scambiarsi video, ad ascoltare musica, talvolta persino a utilizzare strumenti di supporto alla scuola con i loro dati personali, e lo fanno in maniera assolutamente inconsapevole, senza rendersene conto.

Quasi due ragazzi su tre – secondo lo stesso sondaggio realizzato dal Garante per la protezione dei dati personali – accede a questa o quella piattaforma digitale senza leggere le condizioni generali di contratto e le informative sulla privacy e, dunque, senza conoscere le “regole del gioco”. E naturalmente non è colpa loro, perché non si può pretendere che un bambino o un adolescente faccia quello che non facciamo neppure noi adulti, ovvero dedicare più o meno un’ora a leggere chi, come, perché e per quanto tempo tratterà i nostri dati personali e in cambio ci lascerà usare questo o quel servizio.

E’ dubbio che lo scambio di dati contro servizi e l’utilizzo di un diritto fondamentale per comprarsi qualcosa siano democraticamente sostenibili, ma è certo che è giuridicamente illegittimo ed eticamente inaccettabile che uno scambio del genere avvenga senza che chi cede parte di sé abbia modo di comprendere, per davvero e fino in fondo, la rilevanza del gesto. Ecco, queste e tante altre, tutte egualmente relative allo stare in rete dei più giovani, sono forse le sfide alle quali possiamo dedicare questa giornata europea della privacy: proprio per questo, come Garante per la protezione dei dati personali, quest’anno abbiamo deciso di celebrare in una scuola, anziché in Parlamento come è consuetudine, collegata con decine di altre scuole di tutta Italia.

Ovviamente si tratta solo di un gesto simbolico del tanto – ma tanto lavoro – che dobbiamo fare per mettere non solo le persone, come sempre più spesso si dice, al centro della trasformazione digitale, ma le persone più giovani e in modo particolare i nostri bambini, che sono poi la componente migliore del nostro futuro.

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