Il “clima intimidatorio e di pressione costante”, le aggressioni e le minacce, un’estorsione continuata da centinaia di migliaia di euro: nell’avviso di conclusione indagini inviato a 17 capi ultrà del Genoa c’è l’affresco di un sistema criminale che per quasi 15 anni – sostiene la procura di Genova – ha tenuto sotto scacco l’ex patron Enrico Preziosi, ma anche i calciatori e il resto della stessa tifoseria rossoblù. L’accusa principale è di associazione per delinquere finalizzata a “commettere una serie indeterminata di delitti”, tra cui violenza privata e lesioni personali: secondo il procuratore Francesco Pinto e la sostituta Francesca Rombolà gli indagati “esercitavano il governo della parte radicale del tifo genoano al fine di interferire nelle scelte societarie, e di realizzare profitti o vantaggi attraverso attività delittuose ai danni” del club di Serie A. Il capo della “cupola” era Massimo Leopizzi, leader della Brigata Speloncia – storico gruppo skinhead della gradinata Nord – e pluripregiudicato con numerosi anni di carcere alle spalle. È lui, si legge, che “dirige e organizza il sodalizio”, “comminando sanzioni agli altri associati”, “organizzando tutte le contestazioni alla squadra” e “creando e alimentando” il sistema ricattatorio verso la dirigenza.

Leopizzi, sostiene l’accusa, era socio occulto del collega ultrà Artur Marashi nella società Sicurart, che in sette anni – dal dicembre 2010 al settembre 2017 – ha estorto in cambio della “pace del tifo” un totale di 327.105,45 euro all’amministratore delegato del club Alessandro Zarbano: somme versato dal Genoa a saldo di fatture per operazioni inesistenti, emesse dalla Sicurart nei confronti di una società intermediaria. Entrambi sono accusati di estorsione aggravata: in particolare, Marashi – si legge nell’imputazione provvisoria – “in costante contatto con alcuni componenti dello staff dirigenziale del Genoa, si affermava quale mediatore tra le istanze provenienti dalla tifoseria organizzata e la necessità del mantenimento di una situazione di tranquillità per la squadra, intermediazione del tutto fittizia in quanto utilizzata per ottenere dalla società, in cambio della quiete dei tifosi capeggiati da Leopizzi, e in particolare per evitare che le contestazioni degli ultras si trasformassero in turbativa dell’ordine pubblico con conseguenti sanzioni economiche per la società, il pagamento delle somme sui conti correnti”.

Leopizzi, Marashi e altri capi curva (tra cui l’ex presidente dell’Associazione club genoani Davide Traverso) sono indagati anche per varie violenze private esercitate nei confronti di calciatori: ad esempio l’episodio del 19 febbraio 2017, quando con un blitz all’aeroporto “costringevano i giocatori presenti sul pullman al rientro dalla trasferta con il Pescara (conclusa con un umiliante 5-0 subito dall’ultima in classifica, ndr) a rimanervi all’interno fermi”, impedendo al mezzo di muoversi. O l’intimidazione – nel marzo dello stesso anno – al difensore Armando Izzo, costretto a uscire dal ristorante in cui stava cenando e “intrattenersi” con 25 ultras per quasi mezz’ora. O ancora l’aggressione del 7 maggio successivo, quando Leopizzi e l’ultrà Chiara Bruzzone – ricostruiscono i pm – “costringevano il calciatore Cataldi Danilo e la moglie di quest’ultimo Liberati Elisa a non farsi fotografare da una famiglia di tifosi del Genoa al termine della partita Genoa-Inter; in particolare”, Leopizzi intimava a Cataldi di non scattare la foto perché “indegno“, dopodiché “sferrava un calcio” alla moglie intervenuta in sua difesa. Infine “li minacciava” entrambi, “dicendo loro che li sarebbe andati a cercare”.

Ma le violenze contestate erano rivolte anche nei confronti di altri tifosi: come in occasione della partita Genoa-Bologna del febbraio 2017, quando gli ultras della Speloncia filmavano e minacciavano i tifosi intenzionati a entrare allo stadio nonostante lo “sciopero” proclamato dai gruppi organizzati, impedendo loro di accedere alla gradinata. Tra le accuse di violenza privata rivolte a Leopizzi c’è infine quella di aver costretto un commerciante sampdoriano, titolare di un panificio nel quartiere della Foce, “a cedere gratis pizza e focaccia in diverse occasioni ai tifosi genoani e a praticare forti sconti sul prezzo della birra venduta ai medesimi”, sotto la minaccia di bruciargli il negozio.

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