“Non voglio capire per chi voti da quello che scrivi”, diceva a tutti al momento dell’assunzione. I suoi colleghi lo ricordano così: sempre disponibile ma granitico nelle sue integrità. Il pluralismo prima di tutto e il giornalismo come – preziosa – occasione per essere imparziali. All’università fece una tesi sull’estetica di Benedetto Croce. Il suo relatore restò perplesso: “Lei l’ha distrutta”, gli disse, “senza costruirne una sua”. “Mi lasci tempo” rispose Lepri, “ho solo vent’anni”. È partito da lì e ha attraversato la storia del giornalismo italiano. È morto Sergio Lepri, 102 anni, storico direttore dell’Ansa, che ha guidato per quasi 30 anni, dal 1962 al 1990.

Iniziò dirigendo il giornale clandestino L’Opinione del Partito liberale, fra il 1943 e il 1944, a Firenze. A 100 anni ricordava quell’esperienza così: “Fare un giornale e distribuirlo a quei tempi significava rischiare la vita“. E sulla Resistenza non aveva dubbi: “Un periodo formativo per una parte della mia generazione”. A guerra non ancora finita entrò alla Nazione del Popolo, organo del Comitato di liberazione. Nel 1950 fu redattore capo del Giornale del Mattino, il quotidiano che, diretto da Ettore Bernabei, veniva chiamato l’organo della ‘repubblica fiorentina’ di Giorgio La Pira. Nel 1956 ne divenne corrispondente da Parigi, quando Bernabei passò al “Popolo” l’organo della Democrazia cristiana. Nel 1957, giornalista senza tessere (votava per il Partito repubblicano), Lepri fu scelto da Amintore Fanfani come suo portavoce e poi come capo del Servizio stampa del suo governo dal 1958 al febbraio del 1959. Un anno e mezzo dopo, disoccupato, fu assunto dall’Ansa nel settembre del 1960 e nominato prima vicedirettore nel gennaio 1961 e poi, un anno dopo, direttore.

Con lui l’agenzia cresce anno dopo anno. Negli anni ’70 diventa – dopo Ap, Afp, Reuters – la quarta nel mondo, in competizione con la tedesca Dpa e la spagnola Efe. Lepri fu innovatore, anche in ambito tecnologico: il primo archivio digitale delle notizie in Europa si deve a lui. “È cambiata l’informazione”, diceva, sempre in occasione dei suoi 100 anni, “perché sono cambiati gli strumenti”. Ma non aveva nostalgia. Piuttosto fiducia: “Le nuove tecnologie sono state un grande modo per migliorare il nostro mestiere”. La prima cosa che chiedeva era la difesa del pluralismo e dell’obiettività: dividere fatti da opinioni. “Il privilegio di un serio giornalismo è quello di non schierarsi. Io sono arrivato al giornalismo alla fine della guerra. Giovani come me decisero di fare il giornalista perché era uno strumento per arricchire il patrimonio informativo di tutti. Strumento di conoscenza, di democrazia e libertà, come servizio”, raccontava.

Aveva ricevuto nel settembre del 2019 una medaglia-ricordo del Consiglio Nazionale dell’’Ordine dei Giornalisti in occasione dei suoi 100 anni con la dicitura ‘Al maestro del giornalismo’. “Ho vivissimo il ricordo dell’ultimo incontro con lui, a Firenze in Palazzo Vecchio, in occasione della cerimonia di premiazione alla carriera per i suoi cento anni. Infaticabile, dal tratto gentile ed acuto, è stato il punto di riferimento per tante generazioni”, ha ricordato il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli. “Con Sergio Lepri se ne va un pezzo di storia della nostra professione, un maestro per generazioni di cronisti, autore di pagine indelebili di buon giornalismo”, fa sapere la Federazione nazionale della stampa italiana. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto ricordarlo: “Con Sergio Lepri scompare un prestigioso direttore, maestro di professionalità e deontologia per generazioni di giornalisti, e un testimone attento e partecipe di lunghe e decisive fasi della storia italiana”.

Sciatore fino a pochi anni prima di diventare centenario, un’altra sua grande passione fu la formazione di giovani cronisti. Dal 1988 al 2004 ha insegnato ‘linguaggio dell’informazione’ alla Scuola superiore di giornalismo della Libera università di studi sociali Guido Carli (la Luiss). Ha scritto numerosi libri, molti dei quali a impronta didattica hanno formato varie generazioni di giornalisti. Autore di uno storico manuale, Lepri ha sempre sostenuto che “giornalisti si diventa”, a patto di avere “curiosità di conoscere e capacità di analisi critica”. Nel 1999 la prima edizione di ‘Professione giornalista’ partì da questa domanda per stendere quello che fu il manuale base per diverse generazioni di giovani professionisti. Naturalmente la risposta era che giornalisti si diventa, sì: studiando e lavorando.

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