di Michele Pellizzari (fonte: lavoce.info)

Proteggere i consumatori da professionisti di scarsa qualità è la ragione che giustifica la regolamentazione di professioni come quella di farmacista. Ma in alcuni casi rivedere le norme porterebbe benefici certi con rischi molto bassi, specie in pandemia

La regolamentazione delle professioni liberali

La recente polemica sui tamponi nelle parafarmacie riporta di attualità il tema della regolamentazione delle professioni. Come abbiamo più volte ricordato su questo sito, la necessità di regolamentare l’accesso ad alcune professioni si motiva con l’esigenza di proteggere i consumatori dalla possibilità di incappare in professionisti di scarsa qualità. Tuttavia, regolamentare l’accesso – e spesso anche la pratica – di una professione ha anche un costo: limita la concorrenza e porta a prezzi più alti e minore offerta.

Per molte professioni liberali, tra le quali certamente i farmacisti, si ritiene da sempre e in quasi tutti i paesi del mondo che i benefici della regolamentazione in termini di qualità dei servizi siano maggiori dei costi. Collettivamente decidiamo quindi di rendere l’accesso alla professione particolarmente difficile e accettiamo di pagare i servizi un po’ più cari per evitare di incappare nelle conseguenze nefaste di farsi consigliare i farmaci da un incompetente.

Poi però arriva il Covid. La domanda di servizi farmaceutici si impenna, come in questi giorni per i test. Al rischio di incontrarne uno poco competente si aggiunge quello di non riuscire proprio a trovarlo, un farmacista. In altre parole, il Covid cambia la valutazione costi-benefici della regolamentazione e ci dovrebbe imporre di rivedere, magari temporaneamente, le nostre scelte. Per tornare alla questione iniziale, se mai ci fosse stato in tempi normali un motivo valido per escludere le parafarmacie dall’offerta di test antigenici o molecolari, aprire ora questa possibilità permetterebbe di espandere l’offerta, con conseguenze sulla qualità dello specifico servizio presumibilmente molto limitate o inesistenti.

Nel corso della pandemia si sono già viste eccezioni e revisioni parziali e temporanee delle norme sulle professioni: per esempio, gli studenti di medicina e specializzandi reclutati per rinforzare l’esercito di chi effettua le vaccinazioni. E durante l’emergenza più grave sono arrivati ad aiutare medici stranieri, che normalmente dovrebbero far riconoscere i propri titoli (si ricordi il caso famoso dei medici cubani).

La pandemia ci ha insegnato l’enorme valore della capacità di adattarci rapidamente alle diverse situazioni. I nostri professionisti ne hanno spesso dato una formidabile prova: i farmacisti, ma anche i medici e gli infermieri. Serve però che le norme che regolano queste professioni si adattino anch’esse. Alcune sono letteralmente vecchie di secoli e risalgono alle corporazioni delle arti e dei mestieri di origine medievale. Anche le scelte su quali professioni e quali servizi meritino di essere regolamentati dovrebbero essere riviste periodicamente.

Cosa c’è da fare

Tra chi si occupa di questi temi, le cose da fare sono piuttosto evidenti da tempo. Per esempio, le procedure di abilitazione dovrebbero essere interamente anonime per evitare tentazioni nepotistiche. Per gli avvocati l’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli aveva reso casuali le commissioni di correzione degli esami scritti tra corti d’appello. Sarebbe un buon esempio da seguire anche per gli orali e da estendere anche ad altre professioni.

Per lo stesso motivo si dovrebbe abbandonare il principio dell’auto-regolamentazione, che rende spesso inefficace l’attività sanzionatoria. Nei mercati dove ancora sussistono, si dovrebbero cancellare il controllo dei prezzi e il divieto di pubblicità commerciale, che rendono complicato l’accesso ai clienti per chi non ha già qualche entratura nella professione.

Si tratta di riforme difficili da attuare perché si devono tenere in debita considerazione le comprensibili resistenze di chi ha fatto scelte di studio e di lavoro sulla base di norme esistenti e che rischia di vedersi cambiare le carte in tavola. Si pensi al caso dei tassisti, per fare un esempio. Liberalizzare il settore sembra inevitabile dopo l’arrivo delle piattaforme online, ma è chiara la preoccupazione di chi ha programmato tutta la propria vita sapendo di poter contare su una licenza da rivendere al momento della pensione.

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza si accenna solo all’idea di rendere le lauree abilitanti per le professioni regolamentate. Può essere una buona idea in alcuni casi, ma è un po’ superficiale come riforma se, come dovrebbe essere, l’obiettivo è quello di garantire una buona qualità dei servizi offerti con il minimo costo in termini di restrizioni alla concorrenza.

La pandemia ci suggerisce anche che un moderno sistema di regolamentazione delle professioni dovrebbe essere capace di adattarsi a situazioni che modificano in modo importante il rapporto costi-benefici delle norme. Sarebbe auspicabile prevedere la possibilità di eccepire temporaneamente ad alcune restrizioni quando le condizioni lo richiedano. Torniamo così alla questione dei test nelle parafarmacie: piccola eccezione alla norma generale che, in questo momento particolare, potrebbe produrre grandi vantaggi grazie all’aumento dell’offerta, per un rischio davvero minimo, probabilmente inesistente, sul fronte della qualità.

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