VENEZIA – La mancanza di medici di famiglia, acuita dall’emergenza pandemia, e il super lavoro delle guardie mediche hanno indotto la Regione Veneto a stanziare 52 milioni di euro per coprire il lavoro straordinario e per incentivare ogni medico di base a farsi carico di 300 pazienti in più. In pratica, per chi aderisce, accettando di passare da 1.500 a 1.800 assistiti, l’incremento di stipendio sarebbe di alcune migliaia di euro all’anno. Il provvedimento (un atto di “disposizioni temporanee ed eccezionali”) intende rispondere alla carenza di 336 camici bianchi nel territorio e di 502 guardie mediche. Ufficialmente in servizio ce ne sono 2.895, ne servirebbero alcune centinaia in più per le zone carenti. Ma i sindacati di categoria non gradiscono e accusano: si cerca di scaricare sul lavoro dei medici le carenze di programmazione.

Negli ultimi anni le incombenze anche amministrative di ogni medico sono aumentate. Con il Covid, poi, il modo di lavorare è stato stravolto, facendo venire a galla carenze nella programmazione della copertura dei posti, aggravate anche da massicci pensionamenti. “Saranno tantissimi quanti, stanchi e stressati per la situazione in cui si sta operando ormai da due anni, andranno in quiescenza prima dei 68 anni” spiega Maurizio Scassola, segretario veneto della Fimmg, il principale sindacato che raccoglie i medici di medicina generale. Nei prossimi 3-4 anni si prevede un esodo per pensionamento di circa 800 unità. In questa situazione pesano anche i medici no-vax che non essendosi vaccinati non possono esercitare.

Per tappare queste falle, ecco il provvedimento di emergenza. Le Ulss possono investire fino al 31 dicembre 2022 per incentivare le prestazioni mediche soprattutto nelle zone sguarnite. Ogni medico potrà decidere volontariamente l’aumento degli assistiti. Per ognuno di essi, quindi, avrà un’integrazione regionale di 2 euro a paziente all’anno quale contributo per l’assistente di studio e nel caso in cui un medico non avesse l’infermiera si aggiungerebbero altri 3,50 euro di indennità annua a utente. Solo in quest’ultimo caso si arriverebbe a quasi 10mila euro all’anno in più, ma se un medico ha già l’assistente, l’incremento sarebbe di 3.600 euro all’anno. Per quanto riguarda le guardie mediche, ci sarà un aumento del compenso orario da 32 a 40 euro lordi l’ora, che equivale all’importo pagato ai medici delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) che affiancano i dottori di famiglia nella gestione domiciliare dei pazienti Covid meno gravi. L’incremento orario, però, scatterà solo per le ore eccedenti le 24 ore settimanali (104 al mese), mentre la prestazione standard continuerà ad essere pagata 27 euro.

In totale lo stanziamento per le maggiori spese a favore dei medici di base è di 14 milioni di euro, mentre il nuovo trattamento delle guardie mediche prevede una spesa massima di 38 milioni di euro. Il commento di Brunello Gorini, segretario Fimmg a Treviso è severo. “Di annunci di delibere mai attuate ne abbiamo visti tanti, a cominciare da quella che nel 2017 prevedeva la creazione dei gruppi di medicina integrata. Discuteremo di queste proposte tra due settimane con la Regione. Questa proposta ci è appena stata consegnata”. Cosa ne pensa? “Sa cosa significa scaricare 300 nuovi pazienti in blocco a un medico di famiglia? E poi dicono che non lavoriamo, quando siamo stati noi il baluardo contro il Covid. In ogni caso, gli aumenti economici sono per le segretarie, non per il lavoro in più dei medici, e fanno scattare aliquote di tassazione fiscale”.

Ma quanto peserà l’aumento di pazienti nei servizi di assistenza ai cittadini? Se lo chiedono i consiglieri regionali di minoranza. “Aumentare il numero di pazienti, seppur in via temporanea e su base volontaria, non può essere l’unica soluzione alla carenza di medici di base. Già oggi denunciano carichi di lavoro insostenibili, senza ulteriori misure rischiamo di peggiorare anche il servizio”. E spiegano: “La programmazione nazionale va indubbiamente rivista, ma anche quella regionale è stata sbagliata se è vero che il Veneto è al primo posto in Italia per zone carenti (dati Fnomceo) e al terzo posto nel rapporto numero di assistiti/medico di base (dati ministero della Salute relativi al 2019). Sono poche le borse di studio, aumentate solo di recente, e scarsi incentivi per chi opera nelle aree rurali e disagiate”. L’invito è anche a “investire sul personale amministrativo e infermieristico negli ambulatori, in modo da aiutare i medici, anche quelli che non fanno parte di medicine di gruppo e che per questo sono in ulteriore grande difficoltà nel dare assistenza, a fronteggiare le innumerevoli richieste dei pazienti, visto che l’emergenza è ormai diventata la normalità”.

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