Ce n’è abbastanza per pretendere qualche scusa da chi, nell’ultimo anno, si è scagliato contro il Reddito di cittadinanza. Perché nei dati del ‘Rapporto sulla situazione occupazionale dei beneficiari’ affidati ai Centri per l’impiego presentato oggi a Roma da Anpal, l’agenzia nazionale politiche attive lavoro, c’è l’ennesima smentita della narrazione che accusa la riforma di aver disincentivato la ricerca di lavoro e di essere un totale fallimento. “Il Reddito di cittadinanza non è un disincentivo all’occupazione”, ha detto chiaro e tondo il commissario di Anpal Raffaele Tangorra, sottolineando come un milione e mezzo di posti di lavoro hanno riguardato un percettore del Reddito: “Su 1,8 milioni di beneficiari attivabili presso i Centri per l’impiego, il 40 per cento ha lavorato mentre percepiva il beneficio, e il 30 per cento ha attivato un nuovo rapporto di lavoro, successivo alla domanda per il Rdc”. Certo le note dolenti non mancano, ma riguardano principalmente gli stessi beneficiari, ai quali nella grande maggioranza dei casi non viene offerto che un rapporto di lavoro a breve o brevissimo termine, che non li emancipa da una condizione di working poor che riguarda molti di loro.

Altro che “metadone di Stato”, come lo definì Giorgia Meloni lo scorso settembre, nel pieno delle polemiche sulle difficoltà dei datori di reperire lavoratori stagionali durante l’estate. Purtroppo mentre buona parte della politica massacrava i navigator e improvvisava statistiche, a mancare erano proprio i dati ufficiali sulla condizione dei beneficiari del Rdc. Il rapporto presentato oggi arriva infatti dopo 14 mesi di silenzio in merito da parte di Anpal. Anche la Corte dei conti, nella sua analisi dello scorso settembre, si è dovuta attenere ai dati risalenti ancora all’inizio del 2020. E così il comitato di valutazione del Reddito di Cittadinanza, voluto dal ministero del Lavoro e affidato alla sociologa Chiara Saraceno, non ha potuto che lamentare la scarsità di dati sull’occupazione e sulle offerte di lavoro segnalate ai percettori di Rdc. Insomma, i numeri di oggi arrivano tardi ma non per questo sono meno significativi, soprattutto alla luce di alcune modifiche al Rdc inserite dal governo in legge di Bilancio che hanno preferito rispondere alle polemiche e concentrarsi sull’inasprimento delle regole per le offerte di lavoro congrue e non rifiutabili che, ammette oggi Anpal, “non spettano ai Cpi, ma al datore di lavoro e per questo non c’è un database Anpal che le registra. E il cui rifiuto non ha riguardato che rari casi“. Casi per i quali, ancora una volta e nonostante la sicumera governativa, non è mai stato pubblicato nessun dato ufficiale.

Ma veniamo ai dati che abbiamo. Il commissario straordinario di Anpal, Tangorra, ha premesso che la platea dei beneficiari affidati ai Centri per l’impiego è composta per la metà da persone che non hanno avuto nemmeno un rapporto di lavoro negli ultimi tre anni, e che quanti hanno lavorato almeno un giorno negli ultimi tre anni rappresentano appena un quarto dei beneficiari affidati ai Cpi. Insomma, ancora una volta la fotografia di una platea di destinatari difficile da ricollocare. Nel dettaglio, il rapporto considera “difficilmente occupabile” il 51,5 percento delle persone affidate ai Cpi. Ciò nonostante, ha spiegato Tangorra, “725mila persone su 1,8 milioni di individui affidati ai Cpi ha all’attivo almeno rapporto di lavoro (40%), e 546mila di queste hanno attivato un nuovo rapporto dopo essere diventate beneficiarie (30%), per un totale di oltre 1,2 milioni di nuovi rapporti attivati”. E se l’incidenza occupazionale migliora soprattutto per coloro che sono disoccupati da meno di un anno (55%), il valore aumenta anche per coloro che sono diventati beneficiari in quanto disoccupati di lunga durata (30%). Arrivare un Patto per il lavoro nei Cpi, in particolare, aumenta la probabilità di trovare lavoro per chi lo sottoscrive. E per coloro che non hanno mai lavorato la probabilità aumenta del 25 per cento rispetto a chi non sottoscrive il Patto. “Tanto più fragili sono le persone, più è utile a loro il Patto per il lavoro, in particolare nel Mezzogiorno”, ha detto il commissario Anpal durante la conferenza stampa. E di fragilità è il caso di parlare anche quando il lavoro lo si trova. “Attivare un rapporto di lavoro non significa automaticamente uscire dalla povertà o avere una situazione stabile”, continua, ricordando che appena il 14 per cento dei rapporti di lavoro attivati dai beneficiari è a tempo indeterminato, mentre i due terzi sono contratti a tempo determinato. Una fotografia che peraltro coincide con i dati sull’occupazione in generale nel nostro Paese.

Ma il dato più preoccupante rilevato dai ricercatori di Anpal è quello sulla durata dei rapporti di lavoro. Per due terzi di questi la durata è infatti inferiore ai tre mesi, e la metà non supera il mese. “E pur di fronte ad offerte di lavoro brevi e temporanee i dati dimostrano dinamicità e voglia di mettersi in gioco di percettori”, ha detto Tangorra rispondendo a ilfattoquotidiano.it. I settori più interessati dal lavoro dei beneficiari sono in particolare quelli dell’agricoltura, della ristorazione, dell’edilizia e della logistica, dove la brevità del rapporto di lavoro prevale. Infine il commissario ha riconosciuto anche il contributo dei navigator, che “hanno contribuito a trovare lavoro ai percettori”, ha detto Tangorra. Ma che più di tutti hanno pagato un dibattito troppo a lungo privo di dati ufficiali e che oggi si devono accontentare di una proroga di quattro mesi al loro contratto, con tutta l’incertezza del caso. E nemmeno quelli di oggi, a ben guardare, sono dati completi. Da più parti si comincia a far notare che di beneficiari con un rapporto di lavoro, spesso ancora in essere, ce ne sono anche tra quelli affidati ai servizi sociali, e dunque estranei all’odierno rapporto Anpal. Il commento del commissario? “Evidente che questo aumenta ulteriormente le statistiche di chi un lavoro lo ha trovato, che sono quindi sottostimate anche in merito al lavoro autonomo, anch’esso escluso dal nostro rapporto”.

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