C’è un servizio di gestione dei risparmi, già trattato sul Fatto Quotidiano, su cui però merita ritornare. È quello di Moneyfarm, offerto anche dalle Poste Italiane nella sezione online “Postefuturo Investimenti”.

Nella sostanza il servizio si appoggia a due tecniche del secolo scorso per gestire i risparmi dei clienti con poca fatica e limitatissime competenze. La prima è la gestione di patrimoni tramite fondi comuni, cioè subappaltando ad altri la scelta delle singole azioni, obbligazioni o altri valori mobiliari. Così anche chi non sa neppure imbastire l’analisi di un titolo azionario od obbligazionario, può presentarsi come gestore finanziario. Fanno così anche molti consulenti cosiddetti indipendenti, incapaci di fare altro.

L’altra tecnica è la replica automatica di un portafoglio base su tutti i clienti di una certa linea di gestione. Che fa sembrare personalizzata una gestione in realtà centralizzata. Roba vecchia come il cucco, praticata già negli anni 70. Tutto funziona in automatico, con un programma che ripartisce quanto versato dai clienti in al massimo 14 Etf, che sono una categoria di fondi comuni che promettono di replicare pedissequamente un indice finanziario. Per cui è solo una vanteria che una squadra di professionisti prende le decisioni necessarie a cogliere le opportunità di mercato”. Anche se si accorgesse della convenienza sul momento di uno specifico titolo, non potrebbe comprarlo, operando solo tramite Etf. E i singoli titoli che hanno in pancia gli Etf non li decide Moneyfarm.

Peraltro, con costi dichiarati per portafogli medi sull’1,3-1% annuo, Moneyfarm appare come un meno peggio rispetto a tante indecenze rifilate agli italiani dall’industria parassitaria del risparmio gestito. Cioè con costi annui superiori al 3% e molti più rischi di malversazioni.

Ma un lettore mi ha segnalato che la società offre anche il Piano Pensione Moneyfarm, che in effetti è costruito da Allianz ed è sbandierato come “soluzione fiscalmente efficiente”. È il solito specchietto per le allodole della previdenza integrativa. Se agli italiani dici che possono evitare la tasse, sono disposti anche a bere la cicuta.

Facciamo due conti, prendendo per buono il costo dell’1,37% l’anno, calcolato da Moneyfarm con una metodologia più o meno ufficiale, anche se comunque discutibile. Versando soldi all’età di 25 anni, si arriva a una decurtazione complessiva del 42%. Quindi, di regola, il vantaggio fiscale è azzerato e ribaltato in un danno. Come elusione fiscale la previdenza integrativa può funzionare abbastanza bene, pur di aderirvi dopo i 60 anni con un reddito sopra i 100 mila euro l’anno. Invece per i giovani è da evitare nella maniera più assoluta.

Però il peggior rischio è vedere il proprio risparmio previdenziale distrutto dall’inflazione, che di nuovo preoccupa. Nessun fondo pensione, nessuna polizza e nessun piano individuale previdenziale di Moneyfarm, Allianz o altri, lo protegge come il buono fruttifero Obiettivo 65 della Cassa Depositi e Prestiti che garantisce, cosa più unica che rara, come minimo il potere d’acquisto iniziale della somma investita al compimento appunto dei 65 anni.

Articolo Precedente

Criptovalute di Stato: in palio il monopolio pubblico della moneta e il controllo sui cittadini

next
Articolo Successivo

Il grande affare delle polizze assicurative contro gli effetti avversi del vaccino Covid. Tanti clienti, pochi rischi

next