Le misure contro la povertà si possono ripensare e modificare, quelle a favore delle imprese no, neppure se ci costano 80 miliardi di euro. È la linea del presidente di Confindustria Carlo Bonomi, che si è scagliato contro le misure della prossima legge di Bilancio che mirano a rimodulare gli sconti fiscali per le rivalutazione degli attivi delle aziende allineandoli ai valori di mercato. Di cosa si tratta? Un’impresa può procedere a rivalutare i suoi beni rafforzando così la sua struttura patrimoniale. Per farlo deve spendere del denaro. L’importo rivalutato può essere però ammortizzato e quindi scalato dai profitti nell’arco di un determinato periodo di tempo. E profitti più bassi significa meno tasse da pagare.

La legge del 2020 ha introdotto un regime particolarmente favorevole per queste operazioni, con un prelievo una tantum di appena il 3% e la possibilità di scalare la rivalutazione dai profitti realizzati nell’arco di 18 anni. Soprattutto ha esteso questo regime alla rivalutazione di qualsiasi tipo di bene, materiale e non e quindi terreni, fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature ma anche marchi, brevetti, diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno (software), concessioni, licenze, avviamento, partecipazioni in società controllate e collegate iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie. Se è piuttosto semplice stimate il valore di un terreno o di un fabbricato molto più ardua, e in una certa misura arbitraria, la quantificazione del valore di un brevetto o di una licenza. Non è raro incappare in valutazioni scollegate dalla realtà in quella che è terra fertile per gli abusi di aziende che vogliono “forzare” i numeri.

L’aiuto fiscale sfruttato anche dai nobili milanesi – L’operazione di rivalutazione diventa particolarmente conveniente anche in vista di una cessione. Ne abbiamo avuto un chiaro esempio in una recente grossa operazione immobiliare realizzata a Milano. La società delle antiche casate milanesi Reale compagnia ha venduto il suo patrimonio immobiliare (case per lo più nel centro di Milano e Torino) al fondo statunitense Blackstone incassando 1,3 miliardi di euro. Prima di vendere Reale ha però rivalutato i suoi palazzi (iscritti sino a quel momento a valori “storici” con relativi vantaggi fiscali) contando sul trattamento particolarmente favorevole garantito dalla legge.

Problema: il governo precedente ha varato la misura nel pieno della pandemia per dare una spinta alle imprese, l’Esecutivo in carica l’ha prorogata ma i calcoli erano stati fatti in maniera, a quanto pare, un po’ approssimativa. Molte aziende hanno fiutato l’affare e hanno quindi ricorso in massa a questa possibilità. Si è quindi calcolato che la misura avrebbe prodotto un “buco” di gettito di oltre 4 miliardi di euro l’anno per i prossimi 18 anni con un conto finale per l’erario di un’ottantina di miliardi. Il governo ha quindi deciso di correre ai ripari. Nella legge di bilancio si prevede quindi di allungare a 50 anni del periodo dell’ammortamento. Significa che lo sconto fiscale annuo si riduce a circa un terzo. O, in alternativa, di fissare un tetto al valore complessivo dell’agevolazione.

La soluzione per tappare il buco di gettito – “Allungare il periodo di ammortamento non è a mio avviso la giusta soluzione”, spiega a Ilfattoquotidiano.it Nicola Pecchiari, docente dell’università Bocconi di Milano. “L’obiettivo di fondo è sempre stato quello di cercare di allineare i periodi di ammortamento civilistici con quelli fiscali, un allungamento del termini va esattamente nella direzione opposta creando serie complicazioni in sede di dichiarazione dei redditi e lettura dei bilanci”. Secondo Pecchiari meglio sarebbe limitare la platea di beni a cui può essere applicato questo regime di rivalutazione magari compensando le aziende con maggiori agevolazioni per nuovi investimenti. “Le regole attuali, in effetti fiscalmente molto convenienti, vanno però a premiare investimenti che sono stati fatti magari 20 anni fa mentre, ai fini della crescita e dello sviluppo, sarebbe molto meglio incentivare investimenti nuovi”.

In origine, spiega il docente, la possibilità di rivalutazione è stata pensata per beni immobili come fabbricati, terreni o edifici, il cui valore di mercato cresce negli anni anche solo per il semplice effetto dell’inflazione. Con l’obiettivo di raccogliere denaro per le casse dello Stato questa possibilità è stata estesa ai macchinari, che però hanno solitamente vita più breve, poi alle partecipazioni e infine anche ai beni immateriali. Non va dimenticato, sottolinea poi il docente, che pagando un aggiuntivo 10% è possibile usare la ricchezza creata con le rivalutazioni per distribuire dividendi ai soci, pratica discutibile visto che dovrebbero essere gli utili effettivamente realizzati ad alimentare il flusso dei dividendi.

Quel che è certo è che la sola ipotesi di modifica ha scatenato le ira del presidente di Confindustria Bonomi che sabato scorso nel suo intervento davanti agli imprenditori di Alba ha detto che non si può accettare perché “il presupposto per cui viene sostanzialmente uccisa è il fatto che il Mef (ministero Economia e finanze, ndr) si rende conto che questa norma assunta dal precedente governo ha assunto un valore così importante che non avevano quantificato bene la spesa. Vuol dire che funzionava molto bene“. Avete sbagliato? Affari vostri.

Lo sciopero? “Un inutile ricatto” – Bonomi ha poi concluso l’intervento dettando l’agenda anche ai sindacati: “Gli italiani tutto chiedono tranne che andare in piazza. Si crede ancora che il ricatto dello sciopero sia il mezzo per ottenere quello che uno chiede, mezzo che porta a rifiutare qualsiasi confronto con il resto del mondo del lavoro. E poi ci si lamenta. Le soluzioni si trovano insieme, non scioperando”. Giova ricordare che lo sciopero è un diritto di rango costituzionale, previsto dall’articolo 40 della Carta.

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