È una “grande sofferenza” e un “dispiacere”. Non riesce a darsi pace l’ingegner Achille Balossi Restelli, presidente del cda della Reale Compagnia Italiana – la cassaforte immobiliare dell’aristocrazia lombarda – che è appena stata acquisita da Blackstone per quasi 1,3 miliardi di euro, fra patrimonio e debiti. Balossi Restelli e la sua nutrita famiglia di azionisti dentro Reale stanno incassando personalmente in queste ore 163 milioni e 856mila euro. Pagando una tassa del 10% sulla plusvalenza, grazie a un regalo fiscale varato nella scorsa legge di Bilancio e poi prorogato in estate dal governo Draghi fino al 15 novembre 2021.

Un’imposta sostitutiva appunto del 10%, invece che del 26, per chi rivaluta le proprie partecipazioni societarie, terreni o immobili. Reale Compagnia ha colto l’occasione. E dopo aver tenuto per decenni il patrimonio immobiliare, sito nelle aree più pregiate di Milano e Torino, iscritto a costi “storici”, lo fatto lievitare dai 92 milioni di euro del 31 dicembre 2019 fino a un miliardo e 136 milioni euro a fine 2020 (più 143 milioni di debito tributario da pagare in tre rate entro il 2023). Quanto ci guadagna la famiglia Balossi Restelli? La casata possiede – o meglio: possedeva – 1078 azioni ordinarie della Reale (su 7425 totali), ereditate per generazioni, con un valore nominale di 2.500 euro l’una e che dal 2 novembre sono state vendute a una società lussemburghese di Blackstone per 152mila euro ciascuna. Il calcolo di quanto hanno incassato ingegnere e famiglia – una quindicina di soci con lo stesso cognome – è presto fatto.

Niente male per l’aristocratico. Lui, classe 1932, che ne ha viste tante nella vita con il suo omonimo studio di ingegneria: ha lavorato ai progetti delle stazioni delle metropolitane e del passante ferroviario di Milano. Nel 1960 è stato addirittura convocato in Egitto per salvare i Templi di Abu Simbel che stavano per essere sommersi dalle acque del Nilo dopo la costruzione della diga di Assuan. Li ricostruirono 60 metri più in alto spostando pietre da trenta tonnellate una ad una. Roba da cuore impavido.

Che oggi invece non riesce a trattenere il dolore per aver venduto i “gioielli di famiglia” a Blackstone. Per la casata è un maxi affare ma parlando davanti agli azionisti il 25 ottobre 2021, nell’assemblea che sarà definitiva per la decisione di cedere la mano agli americani, ritiene “doveroso intervenire con qualche pensiero mio personale riguardo l’operazione in corso”, come spiega ai 331 soci della Reale collegati da remoto (più della metà non presenti). “Le osservazioni che seguono spero diano un’idea di quanto io stia vivendo con grande sofferenza e dispiacere”. Sofferenza e dispiacere colmati soltanto da una “valutazione razionale per il bene economico di tutti quanti gli azionisti” senza lasciarsi trasportare dal “sentimento di affezione personale ad una realtà così bella come la Reale”. Che Balossi Restelli definisce “un’immobiliare unica nel suo genere a Milano, dotata di stabili meravigliosi ottimamente conservati e localizzati in posizione prestigiose sia a Milano che a Torino”. Nella commozione del momento l’ingegnere ripercorre la storia della Compagnia. Nata nel 1862 come “assicurazione sulla vita dell’uomo” per “volontà di un gruppo di poche famiglie amiche”. Poi il passaggio da assicurazione a immobiliare a inizio ‘900. La ricostruzione degli stabili dopo la Seconda guerra mondiale “a seguito dei gravissimi danni subiti dai bombardamenti”.

Tanti ricordi. Che nulla hanno potuto di fronte “all’importante e inaspettata opportunità della norma sulla rivalutazione introdotta la scorsa estate” per “eliminare le problematiche di fiscalità latente che comportavano una forte limitazione alla gestione straordinaria della società”. Del resto l’operazione con Blackstone, orchestrata dall’amministratore delegato Giancarlo Scotti e dal banchiere d’investimento Gerardo Braggiotti di Goldman Sachs, ha consentito a “tutti gli azionisti di valorizzare il proprio investimento realizzando il trasferimento dell’importante valore custodito e incrementato in più di 150 anni di attività”. Una valorizzazione che ha ben “tenuto conto dei vantaggi fiscali assicurati dalla norma di affrancamento delle quote azionarie”. Senza i quali “le alternative strategiche non avrebbero portato agli stessi risultati”. Tradotto: un fisco benevolo batte il sentimento.

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