di Bruno Anastasia, Maurizio Gambuzza, Maurizio Rasera (fonte: lavoce.info)

L’aumento delle dimissioni è consistente, trasversale a settori e professioni e non appare episodico. È un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro. Rivela però tensioni quantitative e qualitative tra domanda e offerta di lavoro

Un fenomeno da studiare

Un recente articolo di Francesco Armillei ha focalizzato l’attenzione sulla crescita delle dimissioni da rapporti di lavoro a tempo indeterminato (d’ora in poi per “dimissioni” si intenderà sempre dimissioni da tempo “indeterminato”), intervenuta nel secondo trimestre 2021 e osservata con i dati delle Comunicazioni obbligatorie. L’autore ha suggerito anche diverse ipotesi interpretative: riduzione “all’americana” di attachment al mercato del lavoro, complici modifiche di comportamenti attribuibili alla pandemia? Fatto episodico (trimestrale) senza particolare significato, destinato a essere riassorbito? Sbocco obliquo a causa dei licenziamenti normativamente impediti?

Possiamo contribuire al dibattito evidenziando tre risultati qualificanti ricavati dai dati statistici già disponibili.

1. Il livello delle dimissioni è elevato anche nel terzo trimestre 2021

I dati disponibili per il Veneto fino al 30 settembre consentono di registrare la prosecuzione dell’incremento delle dimissioni (sono escluse sia le dimissioni durante il periodo di prova sia le dimissioni per giusta causa) anche nei mesi estivi (grafico 1). Rispetto al livello del 2019 (pre-pandemico) le dimissioni nei primi nove mesi del 2021 sono risultate 77mila, segnando una crescita dell’11 per cento. Il differenziale è ancora più forte rispetto al 2018 e (ancor di più) rispetto al 2020, quando l’irrigidimento complessivo dei movimenti nel mercato del lavoro aveva riguardato anche le dimissioni che pur, tra i motivi di cessazione, hanno visto incrementare il loro peso (67 per cento nel 2021), come ovvio effetto delle restrizioni ai licenziamenti.

La crescita delle dimissioni è un fatto sufficientemente trasversale: pur con intensità diverse interessa maschi e femmine, italiani e stranieri, giovani e senior. Interessante è osservare (tabella 1) che l’aumento è stato particolarmente incisivo per i rapporti di lavoro di medio-lunga durata (oltre un anno), mentre per quelli di recente attivazione, inferiori a un anno, si registra ancora un trend di contrazione (-15 per cento sul 2019), da leggere in relazione alla caduta complessiva, nel 2020, delle attivazioni (assunzioni e trasformazioni) a tempo indeterminato, vale a dire dello stock di riferimento. Sotto il profilo settoriale la crescita delle dimissioni rispecchia fedelmente il diversificato impatto della pandemia e quindi della congiuntura economica: l’incremento è fortissimo nel comparto sanità/sociale (+44 per cento) e significativo anche per metalmeccanico e costruzioni (+16 per cento), mentre per il commercio al dettaglio e il comparto del turismo, come pure per i servizi finanziari, la variazione risulta negativa, segnalando quindi, per questi comparti, difficoltà tuttora persistenti.

La crescita contraddistingue le regioni del Centro-Nord

Una seconda evidenza deriva dai dati Inps/Osservatorio precariato, disponibili per il primo semestre. Anch’essi, come le comunicazioni obbligatorie, attestano l’incremento delle dimissioni nel primo semestre 2021, ma segnalano pure una netta differenza tra regioni del Nord e regioni del Sud (grafico 2), dove, Sardegna a parte, il trend delle dimissioni risulta diffusamente negativo. Così come pure nel Lazio.

La differenza territoriale appare rilevante e indicativa di quanto sta accadendo nel mercato del lavoro. È rivelatrice di più intensi processi di selezione (delle imprese) e riallocazione (dei lavoratori) nelle regioni del Nord, mentre non è positivamente correlata a migliori performance occupazionali nel saldo netto dei posti di lavoro, il quale, come si ricava dai dati Inps, è significativamente positivo soprattutto per le regioni del Sud. Qui evidentemente si associa più a un allargamento della base occupazionale che a una maggior mobilità complessiva.

La crescita dei tassi di ricollocazione

Un’ultima importante evidenza è desumibile ancora dai dati veneti ricavabili dalle elaborazioni sulle comunicazioni obbligatorie: la crescita delle dimissioni risulta accompagnata, inequivocabilmente, da un parallelo incremento del tasso di ricollocazione. Possiamo osservare infatti quanto accaduto ai dimessi mese per mese fino al terzo trimestre 2021 considerando l’incidenza di quanti, entro 30 giorni dalle dimissioni, risultano ri-occupati sempre in Veneto nell’ambito del lavoro dipendente (al netto quindi degli episodi di mobilità verso il lavoro autonomo e della mobilità geografica verso altre regioni italiane o l’estero).

Analizzando la serie storica dei tassi di ricollocamento tempestivo a partire dal 2014 (grafico 3) registriamo che sono tendenzialmente aumentati fino al 2018-2019, quando hanno superato il 50 per cento. Ha poi fatto seguito una contrazione nel 2020 per ritornare, nel 2021, su valori superiori a quelli del 2019. Il recente incremento delle dimissioni si è quindi accompagnato a una parallela dinamica del tasso di ricollocazione, segnalando un’accresciuta mobilità dei lavoratori dipendenti.

Per l’insieme dei dimessi nei primi otto mesi del 2021 il tasso di ricollocazione tempestivo è risultato pari al 54 per cento e se escludiamo i senior (over 54) arriva al 62 per cento (59 per cento nel 2019). Sotto il profilo settoriale (tabella 2) raggiunge i livelli più alti per i dipendenti del metalmeccanico (64 per cento), dei trasporti-magazzinaggio, della pubblica amministrazione e della sanità-assistenza (60 per cento); i livelli più bassi si registrano per i dipendenti dei servizi di pulizia (38 per cento) e dei servizi turistici (42 per cento). Sotto il profilo professionale, livelli molto elevati si notano per gli infermieri (74 per cento), per i tecnici informatici e statistici (70 per cento) e per i conduttori di mezzi pesanti e camion (66 per cento).

Anche se la maggior parte dei processi di ricollocamento avviene nell’ambito del medesimo settore di provenienza, è interessante osservare come i ricollocati, distribuendosi in modo diverso nel settore di approdo rispetto a quello di provenienza, segnalino la maggiore o minore attrattività dei settori e delle professioni. Il bilancio basato sugli spostamenti dei dimessi è infatti positivo per i settori industriali, esclusi quelli dell’industria leggera, mentre nell’ambito dei servizi si segnala soprattutto il dato negativo per turismo/ristorazione. Per quanto riguarda le professioni, il bilancio è positivo per quelle intellettuali, tecniche, semi-specializzate (trainate dalla domanda di conduttori di mezzi pesanti) e non qualificate; è invece negativo per impiegati, professioni qualificate dei servizi (in primo luogo baristi, camerieri, cuochi e addetti alle vendite) e operai specializzati.

Segnali dal mercato del lavoro

L’incremento delle dimissioni è, da aprile, un fatto oggettivo e consistente; è sufficientemente trasversale a settori e professioni; non appare episodico (limitato a qualche mese); caratterizza soprattutto le aree più dinamiche economicamente del Centro-Nord del paese che però, sotto il profilo demografico, registrano la contrazione della popolazione in età lavorativa.

L’incremento delle dimissioni è solo marginalmente interpretabile come effetto del ritardo determinato dalla pausa pandemica (dimissioni che, in condizioni normali, sarebbero già avvenute). Può certamente nascondere – seppur in misura statisticamente molto modesta – licenziamenti ancora impediti dalle norme. Segnala la diffusione di strategie di lavoratori che si ricollocano, data la congiuntura positiva, anche anticipando possibili licenziamenti futuri. È soprattutto un segnale di riattivazione della mobilità nel mercato del lavoro con conseguenti processi di selezione di settori e professioni. Sono processi che comportano miglioramenti nei match lavoratori-imprese, ma che al contempo mettono a nudo tensioni quantitative e qualitative tra domanda e offerta di lavoro e correlate esigenze di professionalizzazione e formazione (e programmazione dei relativi percorsi).

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