A poche ore dal giudizio di Greta Thunberg sulla Cop 26 – “È chiaro a tutti che si tratta di un fallimento” – arriva un altro allarme. Lo lancia WeWorld, organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in molte zone del mondo, con l’annuale WeWorld Index, la classifica sul livello di inclusione di donne, bambine e bambini in 172 Paesi. Proprio a causa dei cambiamenti climatici, nel 2030 150 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari, 50 milioni in più rispetto a oggi. Circa 258 milioni di bambini e bambine non ricevono ancora un’educazione adeguata e 435 milioni di ragazze e donne si troveranno sotto la soglia di povertà e il lavoro minorile che potrebbe aumentare di 8,9 milioni di casi entro fine 2022. Più della metà di questi riguarderebbe bambini tra i 5 e gli 11 anni. Il fenomeno è stato alimentato da crisi occupazionale e chiusura delle scuole, che hanno costretto le famiglie a basso reddito a ricorrere al lavoro minorile o ai matrimoni forzati. Il rapporto 2021 include inoltre approfondimenti su Brasile e Mozambico. Il Paese guidato da Bolsonaro è sceso al 92° nella classifica, contro il 54° posto del 2015, a causa della sua gestione della pandemia. In Mozambico l’inclusione di donne, bambine e bambini ha registrato netti miglioramenti, ma il Covid 19 e il ciclone Idai hanno rallentato il progresso del Paese, che nel 2015 era al 145° posto, oggi al 140°, crescita che sarebbe stata più evidente senza gli effetti del ciclone. Per quanto riguarda l’istruzione, attenzione all’Italia: registra il record negativo in Europa per giorni di scuola persi. Secondo i 34 indicatori utilizzati per stilare la classifica non cambiano molto rispetto alle edizioni precedenti i Paesi in testa – Islanda, Nuova Zelanda, Svezia, Svizzera e Finlandia – né quelli in coda (Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Ciad). Però, il 2021 conferma l’andamento negativo del 2020: i progressi fatti negli ultimi anni per raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030 si fanno sempre più lontani. Anche a causa della pandemia da Covid 19.

DISUGUAGLIANZA FRA STATI I cambiamenti climatici non colpiscono tutti allo stesso modo: le comunità più emarginate, per ragioni sociali, culturali o economiche, sono le più a rischio. Torna un dato già emerso in precedenza: l’innalzamento delle temperature colpisce in particolare le popolazioni che contribuiscono meno al problema ambientale. I sei principali emettitori di gas serra infatti sono, nell’ordine: Cina, Stati Uniti, Unione Europea (compreso il Regno Unito), India, Russia e Giappone. Le aree più soggette al cambiamento climatico sono invece Asia meridionale, le regioni desertiche dell’Africa Subsahariana di piccoli Stati insulari in via di sviluppo. Con questi ultimi ha parlato l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama alla Cop26: “Lanciano il messaggio di un disastro incombente”, ha poi detto nel corso del suo intervento. Molti dei territori più colpiti, inoltre, si trovano già povertà cronica.

BAMBINI E DONNE – I bambini e le bambine rappresentano la categoria più a rischio, quasi 2 miliardi di loro vivono in aree dove ogni anno i livelli di inquinamento dell’aria superano gli standard fissati dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità. Più precisamente, 1 su 4 muore prima dei 5 anni a causa di ambienti malsani. Ma il cambiamento climatico amplifica anche le disuguaglianze di genere: quando vengono danneggiate le risorse naturali necessarie per guadagnarsi da vivere sono soprattutto le donne che non possono mantenersi e sostenere le loro famiglie. Sempre loro sono spesso costrette a ricorrere a pratiche non sostenibili, che le espongono a gravi rischi per la salute. E le donne hanno meno possibilità di spostarsi (perché meno autonome) e di fuggire dagli effetti dei disastri naturali. L’occupazione femminile è il 19% più a rischio rispetto a quella maschile. Sale così il rischio di matrimoni forzati, di sfruttamento lavorativo e/o sessuale, di abbandono scolastico. La loro condizione sociale già fragile, insomma, peggiora.

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