di Enrico Masi

Vista dall’estero, la strategia anti Covid del Giappone può apparire estremamente valida ed efficace, facendo addirittura gridare al miracolo. Effettivamente guardando solo i numeri dei contagi sembrerebbe essere tale. Eppure, vorrei portare avanti un’analisi con dichiarazioni di giornalisti e medici che spero possa essere utile per avere una visione più completa di questo tema. Questo perché adesso il Giappone ha tempo per rimediare agli errori commessi, qualora volesse correggere il tiro, prima della prossima ondata.

Ma quali errori ci sono stati? Prima di analizzarli vorrei soffermarmi sulle conseguenze di questi errori che, con la quinta ondata di quest’estate, hanno portato il sistema sanitario al collasso, e soffermarmi anche su coloro che potremmo definire i “mandanti” di questa strategia.

Il talento televisivo Nonomura Makoto, lo scorso 30 luglio, a causa del contagio di un membro dello staff con cui lavorava, si sottopose ad accertamenti risultando anch’esso positivo al Covid. La sera stessa gli è salita la febbre alta. Nonostante accusasse anche un senso di malessere e tosse, dal centro sanitario venne messo alle cure domiciliari.

In seguito, il 4 agosto, accusò difficoltà respiratorie e, con la saturazione di ossigeno vicina ai 90, chiese l’intervento di un’ambulanza ottenendolo. Tuttavia, quando l’ambulanza arrivò sul posto, il livello di saturazione era leggermente migliorato tornando a 96. Per questo motivo, lo staff medico rifiutò di trasportarlo in ospedale sostenendo che sopra i 90 non erano autorizzati al trasporto. Il giorno dopo, arrivò finalmente dal centro sanitario l’ok al ricovero. Sottopostosi a radiografie, i suoi polmoni risultavano quasi completamente bianchi. Dopo un lungo periodo di cure e, a un passo dal ricorso all’Ecmo (ossigenazione meccanica extracorporea, ndr), Nonomura è miracolosamente sopravvissuto.

Nonomura può considerarsi fortunato. Quanti altri Nonomura ci sono stati in Giappone? A Chiba, 1l 16 agosto, una donna di 30 anni incinta e malata di Covid, non riuscendo nemmeno a trovare un ricovero, è stata costretta a partorire in casa con la conseguenza di perdere il bambino. Il fatto è che, a partire dalla metà di agosto, i posti letto disponibili sono drammaticamente diminuiti. A Tokyo, nella settimana tra il 23 e il 29 agosto, 1466 persone avevano chiesto un ricovero ma a ben 726 di loro venne rifiutato dai centri sanitari per i criteri suddetti. Cosa è successo?

Per evitare il sovraffollamento eccessivo degli ospedali, si è deciso di ricoverare soltanto i casi gravi. Inoltre, nei centri sanitari sparsi per il paese, a prendere le telefonate non sono medici ma impiegati statali. Impossibile per loro tramite una telefonata decidere se ricoverare o meno una persona. Così a partire dall’ondata di quest’estate, anche per snellire il lavoro di questi impiegati si è deciso di prendere come parametro decisivo la saturazione dell’ossigeno: se non si scende sotto il 93 (almeno sulla carta), si viene messi alle cure domiciliari qualunque sia lo stato del malato. E sottolineo “almeno sulla carta” visto che nel caso di Nonomura era sotto i 90 e, dalla prefettura di Aichi il vice direttore del policlinico Universitario Fujita, Iwata Mitsunaga, il 21 agosto ha dichiarato al Nagoya broadcasting network che “con un ulteriore aumento dei contagi, c’è il rischio di non poter ricoverare nemmeno chi scenderà sotto la soglia degli 80”.

Facendo dei confronti con l’estero, per un monitoraggio dei pazienti a distanza la saturazione è sì un parametro rilevante ma viene comunque comparato con altri fattori e contestualizzato. Assieme alla saturazione si esamina la frequenza del polso, la temperatura corporea e altri parametri (provate a cercare su internet il modello EWS o NEWS).

Grazie a tutto questo, apprendiamo dal sito della Kyodo news, che il 1 settembre, in tutto l’arcipelago, più di 135mila persone erano alle cure domiciliari. Per motivi di spazio mi fermo qui ma riprenderò il discorso.

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