In psichiatria esistono patologie che fanno riferimento alla tendenza dell’individuo a immaginare complotti in cui gli altri si coalizzano contro di lui. La “paranoia” è una psicosi (malattia con disconnessione dalla realtà) in cui prevale il delirio (convinzione errata) persecutorio. Una paziente riteneva che durante la notte qualcuno, non ben identificato, le versasse del veleno in bocca mentre dormiva. Era terrorizzata e cercava in tutti i modi di rimanere sveglia per poi, quando crollava, alzarsi terrorizzata per cercare di vomitare.

Un malessere meno intenso è il “Disturbo paranoide di personalità” in cui la persona è diffidente e sospettosa verso gli altri. Un paziente bancario cambiava spesso luogo di lavoro perché arrivava allo scontro in ogni filiale. Dopo alcuni mesi di permanenza nel nuovo ambito lavorativo cominciava a immaginare che tutti si stessero adoperando per farlo cadere in errore. Come una classica profezia che si avvera la sua sospettosità verso gli altri provocava una avversione nei suoi confronti per cui arrivava allo scontro.

In questi ultimi mesi pare che una fetta della popolazione italiana sia entrata in un vissuto emotivo in cui il complottismo (c’è una regia occulta per controllare la società e limitare le libertà fondamentali) e alcuni aspetti paranoidei (iniettano veleni che decimeranno la popolazione o provocheranno seri danni) hanno preso il sopravvento. Non è chiaro quanti siano coloro che vivono l’idea di un complotto, in quanto una maggioranza silenziosa di non vaccinati, per paura o altre problematiche, non rumoreggia e non appare nelle piazze. Si può però presumere che uno o due milioni di persone siano entrati in un vissuto emotivo in cui si sentono schiacciati, controllati, derisi e minacciati.

Si sta producendo una escalation (aumento reciproco fra due persone o gruppi) di diffidenza e rabbia. Più i no vax esprimono la loro rabbia perché si sentono discriminati (come gli ebrei) più i sì vax divengono realmente, almeno a parole, aggressivi. Si sta anche in questo caso avverando la profezia (mi sento attaccato per cui esprimo rabbia, la rabbia provoca negli altri una risposta di attacco). Dobbiamo fermare questa deriva perché il rischio di questa escalation è la ricerca della prova di forza con la possibilità che ci scappino dei morti.

I punti da affrontare sono:

1. Accettare le opinioni degli altri. Anche chi esprime un’idea errata ha delle ragioni emotive per farlo. Forse ha avuto brutte esperienze in campo medico, forse sta attraversando un periodo difficile per problemi economici o familiari. Si tratta di un livello emotivo per cui è inutile voler convincere con ragionamenti che inevitabilmente si situano ad un livello diverso: quello razionale.

2. Provare empatia per chi è terrorizzato. Come conseguenza dell’accettazione dell’opinione diversa dovremmo capire come reagiremmo noi se un regime dispotico dittatoriale ci costringesse a fare un’iniezione che riteniamo letale. Entrare in sintonia su questo livello è utile per comprendere anche l’esasperazione e il rischio di degenerazione verso lo scontro.

3. Mantenere una posizione ferma. Per tranquillizzare le persone meglio una situazione certa, pur sgradevole, che un continuo cambiamento di opinione e regole. Visto che si è deciso di procedere con le regole del green pass si vada avanti senza tentennamenti. Pensare all’obbligo o viceversa a togliere subito il green pass è sbagliato.

4. Offrire speranza: il green pass e gli obblighi sono temporanei. Appena l’evoluzione della malattia lo permetterà verranno tolti. Possiamo sperare che dalla primavera all’estate prossima torneremo a una vita normale.

5. Non fare di tutta l’erba un fascio. Non tutti i sette milioni di non vaccinati la pensano alla stessa maniera. Esistono situazioni variegate. Un mio paziente vaccinato non ha vaccinato la mamma di 95 anni perché ritiene che lei allettata abbia più rischi che benefici. Altro esempio una ragazza al terzo mese di gravidanza. Insomma non esistono solo gli arrabbiati che manifestano ma un variegato numero di persone disorientate, perplesse e impaurite.

6. Lasciare una via di fuga. Se metto nell’angolo un gattino impaurito rischio di farlo diventare, per disperazione, molto aggressivo. La possibilità di lavorare sottoponendosi a tre tamponi settimanali è una via di fuga, onerosa sia in termini di tempo che di denaro, ma accettabile.

7. Ultimo e più importante punto: chiedere l’aiuto dei no vax. Le persone non vaccinate non devono essere bollate come nemiche ma si deve chiedere la loro solidarietà per mettere in sicurezza le persone fragili. Il motivo per cui si chiede loro il sacrificio di fare tamponi ripetuti non è vessatorio ma serve a cercare di aiutare eventuali colleghi di lavoro o vicini al ristorante che potrebbero trasmettere la malattia a familiari con altre patologie. È chiaro che le precauzioni non sono infallibili, i vaccini non proteggono al 100%, le regole sono a volte strane (in metropolitana no, al cinema sì) ma la finalità è quella di aiutare un milione circa di persone fragili (per età e malattie) che altrimenti con una circolazione libera (all’inglese) potrebbero subire seri danni.

Finisco affermando che non siamo in una guerra fra sì o no vax ma in una lotta insieme per la sopravvivenza.

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