Secondo i fautori della Modern Monetary Theory (MMT), la pandemia rappresenta una grande opportunità per riformare il sistema fiscale e monetario al fine di ridurre le diseguaglianze e dare nuovo impeto all’economia. Queste affermazioni poggiano su alcuni postulati della MMT: l’aumento del debito pubblico attraverso la creazione della moneta corrisponde ad un aumento della ricchezza della nazione, e naturalmente la riduzione ad una contrazione del denaro in circolazione; l’aumento del debito può tradursi in opere pubbliche necessarie per la crescita. Naturalmente, ciò è vero solo per le nazioni che hanno mantenuto la sovranità monetaria come Stati Uniti, Regno Unito o Giappone.

La sovranità monetaria fa sì che lo Stato che la possiede sia l’emittente del denaro e la popolazione, le imprese, ed anche il governo siano gli utenti, coloro che lo usano. Nei momenti di grande crisi, come appunto la pandemia, lo Stato che possiede la sovranità monetaria produce denaro elettronicamente e lo deposita nel bilancio della banca centrale che lo invia a chi serve, negli Stati Uniti nel 2008 nei bilanci delle istituzioni finanziarie e nel 2020 nei conti degli individui e delle imprese. Questi soldi sono serviti ad evitare una contrazione dell’economia simile a quella del 1929.

Il debito pubblico è come una fisarmonica, si apre e si chiude a seconda delle note che vogliamo suonare. Quando l’economia cresce troppo velocemente ed i prezzi iniziano a gravitare è il momento di ridurlo, lo si può fare in vari modi, ad esempio aumentando le tasse. Aumentare le tasse riduce il denaro disponibile di famiglie e imprese, queste spenderanno meno, allentando così la pressione sui prezzi. Dai tempi di Clinton, gli Stati Uniti de facto perseguono questa politica, anche se ufficialmente nessun presidente ha mai menzionato la MMT. Ed infatti da Clinton in poi il debito pubblico è aumento con tutti i presidenti.

La MMT in Italia non può funzionare per un semplice motivo: gli euro sono prodotti dalla Banca centrale europea non dalla Banca d’Italia. L’Italia li prende in “prestito” e dunque li deve restituire. I dollari, le sterline e gli yen prodotti elettronicamente o, come si faceva in passato, stampati, sono di proprietà degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Giappone, rispettivamente, quindi non c’è bisogno di restituirli. Lo si farà solo quando l’inflazione minaccia la stabilità del sistema, ma non perché lo Stato ne ha bisogno, perché questa è una manovra tecnica antinflazionista.

Lo Stato che detiene la sovranità monetaria non ha bisogno delle nostre tasse per pagare la costruzione di ponti, scuole, ospedali o per sovvenzionare le forze armate. Questo Stato quando ne ha bisogno produce il proprio denaro. È successo con il Giappone negli ultimi 25 anni e con gli Stati Uniti dal 2008 e 2020. I 5mila miliardi di dollari immessi digitalmente nell’economia americana durante i piani di salvataggio della crisi dei mutui subprime e quelli pompati a causa della pandemia non hanno prodotto un’impennata dell’inflazione. Il Quantitative Easing (QE) ha funzionato.

Sbaglia chi pensa che l’attuale aumento dell’inflazione nel Regno Unito sia dovuto all’espansione della massa monetaria prodotta dal Q&E nel 2020. la causa è lo squilibrio tra domanda ed offerta energetica, squilibrio che era prevedibile.

Anche se nazioni come l’Italia non possiedono la sovranità monetaria, rimane valida la regola della MMT di non imporre politiche di austerità quando l’economia è debole. Aumentare le tasse per contenere le spinte inflazioniste dovute alla crisi energetica o per ridurre il debito pubblico, e dunque restituire i soldi presi in prestito dalla Bce potrebbe produrre un fenomeno sconcertante: la stagflazione, inflazione con crescita zero. È successo negli anni Settanta, potrebbe succedere di nuovo.

I dati dell’Istat dimostrano che, nonostante gli aiuti monetari, la pandemia ha spinto 333mila famiglie, il 20 per cento in più rispetto al 2019, nell’area della povertà assoluta e non ha frenato la pressione fiscale che, anzi, è cresciuta ancora di più. La pressione fiscale generale in Italia, pari al 43,1 per cento, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9 per cento, è cresciuta di 1 punto di Pil. Più che un amento della pressione fiscale c’è bisogno di un riequilibrio del gettito fiscale a favore delle famiglie, lo si poteva fare durante la pandemia, ma non è stato fatto, adesso si può ancora fare.

Non sarebbe un brutto compito per Super-Mario.

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