“Il cinese è sempre più vicino ma la vasca sta per finire. Da un lato penso di non farcela, dall’altro sento una vocina che mi dice di provare… finchè tocco il bordo e vedo la corsia che si illumina. Ho riguardato il numero “1” due o tre volte per essere sicuro”. Quello splendente di Francesco Bocciardo, finora, è stato il volto simbolo dell’Italia paralimpica. Classe 1994, affetto dalla nascita da diplegia spastica – non muove gli arti inferiori – il nuotatore genovese ha portato a casa due ori in due giorni, diventando il primo multi-medagliato dei Giochi 2021. Una vittoria è arrivata, dominando, all’esordio nei 200 metri stile libero S5; la seconda ventiquattr’ore dopo nei 100 metri, specialità in cui non sembrava poter battere i tre velocisti cinesi, che gli erano tutti davanti alla virata di metà gara. E invece ce l’ha fatta, con un recupero travolgente su Wang Lichao che ha fatto esaltare i telecronisti di RaiSport. Così, in soli due giorni di Paralimpiade a Tokyo, Francesco ha già migliorato il proprio score di Rio 2016, quando vinse l’oro “soltanto” nei 400 metri stile libero S6.

Raccontaci questi 100 metri straordinari.

Sapevo che potevo migliorare il tempo della batteria (si era classificato quinto, ndr). L’obiettivo era entrare in finale conservando un po’ di energie: il giorno prima avevo nuotato i 200, era stata una giornata lunga e stressante. Ho impostato la gara puntando sulle mie caratteristiche da mezzofondista, più che da velocista: ho cercato di andare in progressione, puntando sulla resistenza per superare gli avversari negli ultimi venti metri, quando avevano finito la benzina. Dalla virata in poi è iniziata la rincorsa. Ho sofferto tantissimo, ce l’ho fatta davvero per un pelo. Ma ne è valsa la pena.

Nei 200 sei stato in testa per quasi tutta la gara, nei 100 hai trionfato in extremis e contro i pronostici. È stato più emozionante?

I 200 ero consapevole di poterli vincere, almeno dalla prima virata in poi. Era la gara che ho preparato per tutti questi anni. Ma l’emozione è stata comunque enorme, perché era l’esordio, bisognava rompere il ghiaccio. Il giorno dopo invece è stato un colpo di scena, qualcosa che non avevo proprio messo in preventivo, se non nei sogni più belli. L’ho detto anche alla Rai, subito dopo la vittoria, quando non ci capivo ancora nulla: “Se è un sogno, non svegliatemi…”.

Ora cosa manca?

Niente! Non posso essere più felice di così. Ho vinto due ori in due giorni, ho migliorato Rio, con cinque anni in più sulle spalle e il Covid in mezzo. Un risultato inimmaginabile. Se me l’avessero detto prima di partire ci avrei messo una decina di firme… nei prossimi giorni ho ancora i 100 rana e i 50 stile. Non sono le mie specialità, a meno di miracoli non posso sperare nel podio. Ma voglio cercare ancora di fare bene e di divertirmi.

Rispetto alle scorse Olimpiadi gareggi in una categoria diversa, la S5 invece della S6. In vasca con te c’erano atleti con disabilità molto diverse dalla tua. Ci spieghi come funziona?

Le categorie indicano quote diverse di disabilità fisica: si va dalla S1 per i casi più severi alla S10 per i più lievi. Ogni tot di anni, tutti i nuotatori paralimpici vengono “classificati” da un organismo internazionale attraverso test medici e una prova in vasca. L’ultima revisione è stata nel 2018: io ho scalato di una categoria perché col tempo, come spesso accade, la mia disabilità si è aggravata. Ho perso del tutto l’uso delle gambe, perciò ora gareggio insieme a ragazzi che come me nuotano solo con le braccia (come lo spagnolo Ponce Bertran, ndr) e ad altri che al contrario usano solo gli arti inferiori, come Wang, il cinese che ho battuto nei 100. Ovviamente sono modi di nuotare molto diversi, ma alla fine si può dire che le classi siano omogenee.

Dopo le Olimpiadi da record, ecco un altro super esordio a Tokyo. Dove può arrivare l’Italia?

Non voglio portare male coi pronostici (ride). Ma penso che la spedizione italiana possa fare davvero sognare, come quella dei colleghi olimpici. Oltre al nuoto, che ci ha già portato 11 medaglie, siamo forti nella scherma, nell’handbike, nel sitting volley, nel tiro con l’arco. Sport bellissimi ed emozionanti, a cui spero sempre più persone si possano appassionare.

Ecco, appunto: com’è cambiata negli ultimi anni la percezione del movimento paralimpico?

L’evoluzione è stata incredibile. Nel 2012, alle Paralimpiadi di Londra, per la prima volta le nostre gare sono state trasmesse in tv. Quattro anni dopo, a Rio 2016, la visibilità e l’affetto verso gli atleti paralimpici erano già cresciuti moltissimo, e a Tokyo la tendenza si sta confermando. Vedere che la disabilità si può affrontare, che si può fare sport ad alti livelli superando limiti fisici e mentali pesantissimi, è un esempio per tutti. Guardando gli atleti olimpici, la tendenza è a percepirli come esseri divini e sovrumani, fuori dalla portata dell’uomo comune. Di fronte a noi, invece, non si hanno più scuse: ognuno è obbligato a cercare di realizzare i propri sogni.

Tu hai realizzato i tuoi?

Sì, e devo ringraziare il sostegno fondamentale di mia mamma Isabella e mio papà Ettore, di mio fratello Lorenzo, del mio allenatore Luca Puce e del tecnico che mi sta seguendo qui a Tokyo, Marcello Rigamonti. Senza di loro, che hanno creduto in me prima di tutti, non sarei arrivato qui.

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