Nonostante Convenzioni come quella di Rio de Janeiro nel 1992, di Encicliche (Laudato Si’) e di programmi multimiliardari della Commissione Europea (il Next Generation EU che si prefigge la transizione ecologica) sono ancora moltissimi gli scettici che etichettano come ecologista, conservatore e fuori dalla realtà chi chiede che, finalmente, si rendano sostenibili i sistemi di produzione e consumo. Da una parte dicono che è troppo tardi per invertire la rotta, dall’altra chiedono, a chi pone i problemi, di fornire “numeri” che indichino le soluzioni. Di solito chi chiede “numeri” appartiene alla categoria di chi ha generato i problemi e ignora i “numeri” dei disastri causati dall’applicazione dei principi correnti.

Le Nazioni Unite hanno calcolato che nei prossimi 50 anni un milione di specie sarà a rischio di estinzione. Abbiamo dato il nome a due milioni di specie, ma le stime sono che il pianeta sia abitato almeno da otto milioni di specie. Dietro i numeri ci deve essere la conoscenza del loro significato. Sarebbe utile sapere quante specie ci sono sul pianeta non attraverso una stima ma attraverso un progetto scientifico. E occorrerebbe anche capire il ruolo di ogni specie nel far funzionare gli ecosistemi. Le cifre, i numeri, non bastano. Soprattutto se sono stimati. Come si fa a gestire il capitale naturale (specie ed ecosistemi) se non se ne conosce l’entità?

Ovviamente chi definisce ecologista (in senso dispregiativo), conservatore e nemico del progresso chi chiede che si cambi strada non ha una cultura che comprenda il funzionamento dei sistemi naturali, e reputa irrilevanti queste domande, come se vivessimo al di fuori della natura: per i talebani della tecnocrazia le tecnologie sono il rimedio salvifico al degrado, e la valutazione dei loro impatti viene vista come un miope ostacolo al progresso.

La fede nel progresso tecnologico trasforma in realtà una tecnologia che, se fosse disponibile, sarebbe magnifica: la fusione nucleare. Ci si lavora da decenni ma i risultati sono scarsi e non esiste ancora un modo operativo per realizzare il sogno. Va benissimo continuare a provarci ma, nel frattempo, sarebbe bene sviluppare anche altre tecnologie. Una decina di anni fa si diceva che geotermico, solare, eolico, maree e correnti fluviali e marine non fossero in grado di soddisfare il fabbisogno energetico, e si fornivano “numeri” che mostravano come le potenzialità delle fonti alternative fossero illusorie rispetto ai fabbisogni.

Il progresso tecnologico in questo campo è stato rallentato, probabilmente per soddisfare gli interessi di lobby che volevano continuare a vendere carbone, petrolio e nucleare a fissione. Ci fornirono moltissimi numeri quando cercarono di convincerci che non c’erano alternative al nucleare a fissione. Poi, quando il referendum bocciò per la seconda volta la proposta, qualcuno (Tremonti, se non ricordo male) si accorse che le centrali nucleari hanno una durata di vita limitata e poi devono essere dismesse. E, guarda un po’, i costi di dismissione non erano stati considerati quando si mostrarono i numeri che dimostravano l’economicità della scelta.

Non parliamo dello stoccaggio delle scorie che, in Italia, sono ancora in cerca di un sito idoneo, ovviamente per colpa di ottusi ambientalisti che dicono no a tutto. Caso strano, però, nessuna Regione dice: bene, mettetele da noi, ce le prendiamo. Ci fidiamo dei vostri numeri che dicono che non ci sono rischi!

Per attuare la transizione ecologica dovremo ridurre drasticamente i consumi, progettando tecnologie che ci permettano di muoverci meno (il telelavoro). Dovremo consumare meno per climatizzare le abitazioni, con tecnologie costruttive che permettano alle case di produrre energia invece che consumarne. Ovviamente l’energia elettrica dovrà essere prodotta senza combustione, altrimenti non faremmo che spostare i problemi. Le città non sono intelligenti se fanno tutto con elettricità che, fuori, è prodotta bruciando carbone o producendo scorie nucleari.

Poi c’è la produzione di cibo. Ne produciamo molto più di quanto ce ne serva (i numeri si trovano facilmente in rete) e lo distribuiamo in modo asimmetrico. Una parte della popolazione soffre di obesità e una parte soffre di malnutrizione. Alcune “diete”, poi, prevedono uno spropositato uso di acqua, suolo, fertilizzanti e pesticidi.

Dietro questi sistemi di produzione di energia (incluso il cibo) ci sono lobby potentissime che, evidentemente, pensano solo al profitto immediato. Influenzano l’opinione pubblica attraverso i media, influenzano i politici e anche gli scienziati che forniscono numeri parziali a supporto di scelte insostenibili. Risultato: il Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza, che dovrebbe realizzare la transizione ecologica, non investe in modo significativo in argomenti ecologici. Volete dei numeri? Su 204 miliardi, il Pnrr prevede solo 400 milioni sull’integrità e il ripristino degli ecosistemi e degli habitat marini che, nel nostro paese, interessano 8.500 km di coste. A terra non ci sono misure analoghe.

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