Maggio 2005: metti una sera a cena, a Washington. In casa di comuni amici, Gino Strada dialoga con la comunità italiana nella capitale degli Stati Uniti, diplomatici, funzionari, lobbisti, giornalisti. Gli americani, che sei mesi prima hanno rieletto presidente George W. Bush, stanno appena cominciando a scoprire le bugie dell’Amministrazione sulle armi di distruzione di massa dell’Iraq, che non c’erano, ma che erano state usate come pretesto per invadere il Paese e rovesciare il regime di Saddam Hussein. Ma l’attacco all’Afghanistan del 2001, deciso subito dopo l’11 settembre 2001, non lo mette – ancora – in discussione nessuno.

Strada è già un personaggio, ma non è ancora così conosciuto come sarebbe divenuto di lì a poco: si presenta come un medico, il fondatore dell’organizzazione umanitaria Emergency; è a Washington per una conferenza internazionale sull’assistenza fisica e sociale alle vittime delle guerre, un forum fra le agenzie e le organizzazioni non governative che agiscono per aiutare le vittime delle mine e degli ordigni, delle pallottole e delle bombe dei conflitti, dei terrorismi e delle guerre civili, dovunque siano combattute, senza distinzione di campo e di credo, senza guardare se siano militari o civili e quali insegne portino.

A quel momento, Emergency, fondata nel 1994, ha già assistito, in dieci anni di vita e di esperienze sul terreno, oltre 1,4 milioni di vittime di guerra, gratuitamente e “su basi strettamente ugualitarie e neutrali”, dice Strada, citato in un dispaccio dell’Ansa del collega Cristiano Del Riccio; e ha creato centri chirurgici e di recupero, pronti soccorso, maternità e ambulatori sanitari in Afghanistan, Iraq, Cambogia, Sierra Leone, Algeria e Cisgiordania. Strada tornerà di lì a poco negli Usa per presentare la traduzione inglese del suo libro di esperienze di chirurgo di guerra Pappagalli Verdi.

Quella sera del maggio 2005, l’incontro con la comunità italiana vuole anche essere una raccolta fondi. Ma per me, come per molti dei presenti, è l’occasione per conoscere un uomo che vuole “curare le ferite e le vittime di tutte le guerre”, come ha oggi detto il senatore Pietro Grasso, e anche per scoprire aspetti della guerra in Afghanistan che non trapelano dalle cronache pur drammatiche del Pentagono e dai briefing dell’Amministrazione.

Gino Strada se n’è andato nelle ore in cui l’Afghanistan sta tornando alla casella di partenza ‘pre 11 settembre 2001′: un Paese nelle mani dei talebani, che offre santuari a organizzazioni terroristiche integraliste – allora al Qaeda, oggi quel che ne resta e quel che s’è qui rifugiato dell’Isis, il sedicente Stato islamico. È l’ennesima conferma dell’inutilità e dell’avventatezza di vent’anni di conflitti, orrori, atrocità, ingiustizie, che s’innescano sulla storia recente e antica di quel Paese, più volte conquistato e mai sottomesso, incapace di pace con se stesso e con il mondo.

Quel medico idealista ma concreto mi ricordò il dottore di Edgar Lee Masters e Fabrizio de André, che da bambino voleva curare i ciliegi “perché rossi di frutti li credevo feriti”. Strada aveva già chiara, dentro e nei racconti che faceva, l’insensatezza delle sofferenze cui assisteva e cui voleva porre un rimedio. Senza troppo aspettarsi di essere ascoltato dalla politica e dalla diplomazia e forse neppure da quei connazionali – persone ‘tanto per bene’ – venuti a incontrarlo a Washington più per curiosità che per convinzione.

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