Dopo i camionisti, i braccianti per la vendemmia, ogni giorno le imprese suonano un nuovo allarme. Ieri era stata Anita, l’associazione delle ditte dell’autotrasporto di Confindustria, che ha denunciato la carenza di 17mila guidatori di Tir. Oggi Confagricoltura, che fa capo a sua volta a Confindustria, avvisa: “Dalle strutture territoriali e dalle aziende agricole in tutta Italia, dal Nord al Sud, stiamo ricevendo crescenti segnalazioni di carenza di manodopera, mentre si entra nel vivo della stagione della raccolta e della vendemmia in molti campi, frutteti, oliveti e vigneti”.

La soluzione proposta dalle imprese agricole è la stessa prospettata dagli autotrasportatori: allargare i flussi migratori per fare arrivare più lavoratori stranieri. Di possibili aumenti delle retribuzioni per raccogliere più candidature, invece, non si fa cenno. Al più si suggerisce di andare a cercare “disoccupati e percettori di ammortizzatori sociali”. A sostegno della sua richiesta Confagricoltura ricorda come l’agricoltura vanti già oggi una quota rilevante di manodopera straniera, con oltre 340 mila lavoratori stranieri; complessivamente rappresentano il 32% del totale degli operai agricoli in Italia.

Il richiamo di Confagricoltura arriva nel giorno in cui il direttore dell’Ispettorato nazionale per il Lavoro, Bruno Giordano, ha annunciato che è entrata in azione la task force dell’Ispettorato nazionale del lavoro contro il caporalato che sta eseguendo nelle campagne di diverse regioni decine di ispezioni al giorno. Il lavoro degli ispettori avviene in collaborazione con il nucleo tutela del Lavoro dei carabinieri e con l’Oim. Giordano ha ricordato come il fenomeno del caporalato non sia legato solo alle attività agricole ma come il fenomeno riguardi anche altri settori come logistica, edilizia ed i rider con le consegne.

Bruno Giordano ha poi ricordato che nell’ultima settimana l’Ispettorato nazionale del lavoro ha ispezionato decine di aziende tra Prato e Milano (64 solo nella cittadina toscana) ed sono “risultate irregolari il 100%”. Irregolarità e lavoro nero si annidano spesso “nelle zone a più alta attività del Centro e del Nord e non nelle aree depresse del Sud”. Il fenomeno è particolarmente diffuso nelle pmi che sono quasi il 90% del tessuto produttivo italiano. Nel 2020, il 79,3% delle aziende controllate è risultato irregolare.

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