Siamo felici, abbiamo festeggiato per la vittoria dell’Italia di Mancini, abbiamo onorato gli Azzurri ieri seguendoli nel tour politico-istituzionale. Un successo che va ben oltre il merito sportivo e che un giorno sarà studiato nelle scuole di management come case history di una gestione efficiente del cambiamento.

Però ora, a 48 ore dalle emozioni delle notti magiche, dobbiamo per un attimo, solo per un attimo, disintossicarci dalla inevitabile retorica del momento e dirci alcune sacrosante verità. Perché assistere alla apologia dell’italiano perfetto è uno spettacolo che non si riesce a sopportare senza l’effetto della droga del tifo.

Ma dove sta? Dove l’avete visto? Basta con queste lezioni di educazione di sportività e di fair play.
Lo sport, e il calcio in particolare, sono lo specchio dell’anima del paese globale, equiparabile ad un’autentica battaglia tra due fazioni dove tutto è permesso pur di raggiungere la vittoria; anche i mezzi illeciti, le furbizie illegali, la violenza, la provocazione e via discorrendo. Il business ha completato l’opera, minando alla base tutti i principi positivi che avevano generato lo sport.

Già dai primi passi, ai bambini viene inculcata (fatte rare eccezioni) una forma mentis contraria ai principi della lealtà. Due esempi su tutti: ai portieri viene subito insegnato ad uscire con il ginocchio avanti che si infila regolarmente tra le costole dell’avversario che tenta di colpire di testa. Agli attaccanti si insegna ad abbassare la gamba in caso di intervento in scivolata del difensore, in modo da condizionare l’arbitro, che spesso cade nel tranello. Così, anziché punire il portatore di palla per simulazione, fischierà punizione a suo favore (o rigore). Insomma, esattamente il contrario di quanto i dettami sportivi richiederebbero.

Gli inglesi si sono, quindi, comportati come noi in tante altre circostanze, cioè in maniera antisportiva. Prima nazione a fischiare un inno? Forse avete dimenticato i romani & co. ad Italia 90 e i fischi assordanti all’inno dell’Argentina con Maradona che gridava, con le lacrime agli occhi, hijo de puta: una figura indecorosa di livello mondiale.

Forse avete dimenticato che i giocatori della Juve, cosi come quelli dell’Inter, in tutte le finali perse hanno sempre tolto le medaglie? Basta andare su YouTube e vedere un video dei simpatici e bravi Chiellini e Bonucci, oppure dei nazionali nerazzurri. Sono certo, ma non ho fortunatamente la controprova, che a parti invertite ci saremmo comportati allo stesso modo.

Ma poi, enfatizziamo la sportività proprio noi che, come si dice dalle mie parti, abbiamo ancora il morto in mezzo alla stanza: avete dimenticato la pantomima di Immobile nella partita precedente? O, da ultimo, vogliamo dimenticare gli ululati nei nostri stadi verso i giocatori di colore? Devo continuare?

Noi non siamo meglio di nessuno e non possiamo dare lezioni di fair play a nessuno, né questo periodo di pandemia ci ha reso più sportivi e più buoni. Ma soprattutto non ci ha reso più uniti. Perché sono sicuro che da settembre ricomincerà lo spettacolo indecoroso di inciviltà anche sui nostri spalti, incitando il Vesuvio o Superga.

Godiamoci questo momento di felicità ma, nel calcio, noi non siamo affatto “italiani brava gente“. O almeno non tutti. L’italiano vero sta solo nella canzone di Toto Cutugno.

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