All’inizio sembrava soltanto una suggestione letteraria. Poi, con il passare del tempo, si è trasformata in norma consuetudinaria, in legge ferrea. Ogni grande torneo internazionale ha bisogno della sua stella a sorpresa, di un soldato semplice pronto a cucirsi sulla divisa i gradi di generale. È il gregario che si conquista il ruolo di leader, anzi, che si trasforma in eroe. La sua faccia stralunata dall’incredulità diventa icona, immagine pronta per essere stampata su t-shirt, sentimento capace di cucire insieme tutta una nazione. Un ruolo che in questo Euro 2020 posticipato è toccato a Leonardo Spinazzola. Lì dove c’era Fabio Grosso, in quella porzione di campo racchiusa fra la fascia sinistra e la narrativa, ora c’è l’esterno giallorosso. Un calciatore che sembra uscito da un brano di Bruce Springsteen, la cui essenza può essere racchiusa tutta in un titolo: “Born to Run”. Nato per correre.

Le statistiche ufficiali del torneo gli hanno appiccicato addosso una definizione. Quella di “Uomo più veloce dell’Europeo”. Perché quando ha potuto liberare la sua corsa il terzino azzurro ha sfiorato i 34 chilometri orari. Significa che se gli viene lasciato spazio diventa imprendibile, una freccia che non si conficca nelle difese avversarie, ma che le trafigge, le ferisce, le manda in pezzi. La lettura del tachimetro, però, racconta solo una parte della verità. Perché il punto è un altro. Non importa capire quanto va veloce Spinazzola. Bisogna capire cosa fa mentre raggiunge quella velocità. La sua spinta è perpetua. Dal fischio di inizio fino all’ultimo minuto dei supplementari. Ogni volta che il pallone si avvicina alla fascia sinistra lui entra nell’inquadratura. Con le braccia piegate ad angolo retto il busto inclinato in avanti. La sua dedizione è totale e totalizzante. Va oltre i limiti di un corpo piuttosto incline agli infortuni. Ricorda in qualche modo Gondrano, il cavallo di Animal Farm di George Orwell, l’idealista che vede nel lavoro lo strumento buono per nobilitare l’esistenza, che ripete fino allo svuotamento il motto “Lavorerò di più”.

Mentre tutti guardavano altrove, Spinazzola è diventato una delle spade più affilate dell’armeria azzurra. Migliore in campo contro la Svizzera. E ancora contro l’Austria. Una collezione di statuette che diventa il bignami perfetto dell’impatto che il terzino ha avuto sulla competizione. Ma che è riuscita a coprire anche i buchi nella trama del film azzurro, alla continua ricerca di un compromesso fra aspettative e possibilità reali. Contro la squadra di Franco Foda la fascia sinistra si è trasformata in un generatore di pericoli. Spinazzola ha avuto la prima occasione del match, sparando a lato dopo essersi liberato con un doppio passo. Poi ha messo in mezzo tre palloni. Il primo si è trasformato in un tiro di Barella che Bachmann ha respinto con i piedi. Il secondo in una goffa rovesciata di Berardi. Il terzo nel gol di Federico Chiesa. È l’esaltazione di un terzino che aumenta di intensità man mano che macina metri, che gioca gomito a gomito con la mezzala sinistra, che parla la stessa lingua tecnica dell’esterno alto, che si sovrappone, che salta l’uomo (nessun attaccante esterno azzurro si avvicina alla media di 2.3 dribbling a partita messa a referto da Spinazzola), che crea spazi e apre e chiude triangoli. Ma è anche la dimostrazione che, sotto quella patina di retorica che si è solidificata nelle ultime settimane, questa Italia qualche problemino ce l’ha eccome.

Il difensore giallorosso sta dimostrando di poter essere un fattore in un torneo circoscritto nel tempo. Il suo talento è una certezza, la sua tenuta fisica una variabile. Nell’ultima stagione sembrava aver trovato una certa continuità. Poi le cose sono cambiate ad aprile. Colpa dell’ennesimo problema muscolare. Dopo 3 settimane di stop, l’esterno gioca il secondo tempo nella sconfitta contro il Cagliari. Poi dopo 4 giorni viene schierato titolare. La Roma gioca la semifinale di Europa League. Contro il Manchester United. I giallorossi soffrono, ma vanno avanti 1-2 poco dopo la mezzora. Spinazzola è il migliore della squadra di Fonseca. Ma dopo 4’ si ferma. Ha un problema ai flessori. È il terzo infortunio nel primo tempo per la Roma. I cambi finiscono lì. E anche la partita. Finisce 6-2 per i Red Devils. Il campionato dell’esterno non riprenderà. Eppure Mancini decide di puntare su di lui. Avrà ragione. E anche un pizzico di fortuna. Perché nessuno si avrebbe mai pensato a un rendimento simile da parte del difensore. Neanche Spinazzola. “Sto giocando il calcio migliore della mia carriera – ha detto nel post partita contro l’Austria – E lo sto giocando nel palcoscenico più importante della mia carriera. Sono felice”.

È il coronamento di una parabola arcuata, nata su una pista di pattinaggio di Foligno. È lì che Spinazzola impara a giocare a calcio. Nessun bambino indossa le scarpe con le rotelle. Tutti sognano quelle con i tacchetti. Le partite su quel campo adattato durano tutto il giorno. Fino a quando si riesce a vedere il pallone. Fino allo sfinimento. Il poster nella sua cameretta è piuttosto particolare. Non c’è raffigurato Zambrotta. Non c’è raffigurato Roberto Carlos. Non c’è raffigurato Maldini. Il suo nume tutelare è un altro. Si chiama Luis Nazario da Lima, ma tutti lo chiamano Ronaldo. Oppure il Fenomeno. E di professione fa l’attaccante. L’innamoramento sboccia grazie a un VHS. Glielo compra il padre all’edicola sotto casa. Leonardo osservava tutti i movimenti del brasiliano. Poi provava a replicarli sulla pista di pattinaggio. Gli altri idoli sono Rui Costa e Batistuta. Tanto che dopo ogni gol Spinazzola esulta mimando la mitraglia. Una scena che si ripete piuttosto spesso. Perché nella Virtus Foligno il ragazzo gioca come attaccante. La svolta arriva qualche tempo dopo. “La prima volta che mi hanno messo a fare il quinto a centrocampo ero a Siena in Serie B – ha raccontato al sito della Roma – però mi ricordo che già quando avevo 16 anni l’allora tecnico della Primavera Marco Baroni mi disse che per fare strada nel calcio avrei dovuto giocare terzino. Io inizialmente non ero d’accordo: volevo fare l’esterno alto, ma poi, piano piano, negli anni successivi mi sono abbassato”.

Nel 2010, a 17 anni, si trasferisce alla Juventus. Con la Primavera vince il Torneo di Viareggio. E il titolo di miglior giocatore della competizione. Poi inizia il suo personalissimo giro d’Italia. Empoli. Lanciano. Siena. Atalanta. Vicenza. Perugia. Ancora Atalanta. Sempre in prestito. Senza mai mettere radici. Nel 2018 la Juventus decide di confermarlo. Nelle prime 19 partite di campionato non gioca neanche un minuto. Prima il recupero dall’operazione al legamento, poi la panchina. La sua seconda epifania è datata 12 marzo 2019. Dopo aver perso 2-0 la partita di andata in casa dell’Atletico, la Juventus prova il tutto per tutto allo Stadium. La famiglia di Spinazzola non si siede neanche in tribuna. Inutile andare, visto che Leonardo non avrebbe giocato neanche un minuto. La storia racconta una serata molto diversa. È una partita folle, una gara vinta soprattutto da Massimiliano Allegri. L’allenatore disegna un 3-5-2 con Emre Can centrale di difesa per impostare la manovra. Spinazzola esordisce in Champions. Ed è imprendibile. Finisce 3-0. La Juventus passa il turno. Fra lo stupore generale. In estate il terzino saluta. Arriva alla Roma in uno scambio con Luca Pellegrini. Un affare più per le plusvalenze che per la competitività delle squadre. Con Paulo Fonseca Spinazzola gioca a sinistra. Ma gioca soprattutto a destra. Così a gennaio 2020 il suo nome finisce ancora nelle notizie di mercato. Il terzino è inserito in un altro scambio. Politano alla Roma. Spinazzola all’Inter. L’esterno alto fa le visite mediche con i capitolini, racconta la sua gioia per essere tornato nella capitale dopo le giovanili. Ma qualcosa va storto. L’affare non si chiude. Roma e Inter hanno solo scherzato. Spinazzola torna a Roma e due giorni dopo è il migliore nella partita contro il Genoa. I tifosi tirano un sospiro di sollievo. E forse anche il terzino. Perché da quel momento parte un’altra storia. Un percorso che lo porterà fino a diventare uno dei protagonisti di questo Europeo.

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