C’è un convitato di pietra nella tormentata e per molti versi opaca vicenda dell’ex Ilva. Quel convitato, ormai da tempo, è ArcelorMittal, il colosso dell’acciaio che a fine 2018 ha preso in affitto gli impianti del siderurgico dai commissari dell’amministrazione straordinaria. Fin da subito, tra contenziosi, grane legali e perdite milionarie, i vertici del gruppo multinazionale si sono resi conto di aver fatto il passo più lungo della gamba. E da allora hanno fatto di tutto per sfilarsi in sordina cercando di recuperare il più possibile i soldi investiti.

Indizi ce ne sono stati molti. Dal piano di investimenti ambientali da 2,5 miliardi tenuto nel freezer, dato che a fine 2019 gli investimenti realmente eseguiti sono stati solo 387 milioni. Alla contabilità dell’ex Ilva resa il più possibile opaca, come ha documentato il report di Kpmg, l’advisor di Invitalia che ha raccontato le omissioni e l’impossibilità di avere un quadro preciso dei conti dell’ex Ilva. Fino alla fretta di restituire il prima possibile le attività dell’ex Ilva alla mano pubblica, con l’accordo che ha visto lo scorso aprile lo Stato via Invitalia entrare con 400 milioni nel capitale con una quota di minoranza del 38%, destinata a salire al 100% non prima però del maggio 2022.

Tanti indizi su quella che sembra sempre più una sorta di toccata e fuga poco elegante del colosso con base in Lussemburgo. Ora quegli indizi sono diventati una prova. Nell’ultima presentazione agli analisti dei conti del primo trimestre di solo un mese fa, conti tra l’altro brillanti con l’utile netto a livello globale salito a oltre 2,2 miliardi di dollari contro la perdita di oltre 1 miliardo di 12 mesi prima, l’Ilva o meglio Arcelor Mittal Italia non c’è più. Sparita completamente dai radar. Spariti innanzitutto gli investimenti, segnalati a zero nel 2021 dopo che erano già scesi nel 2020 a soli 500 milioni che però riguardano sia l’ex Ilva che AM Usa. Gli investimenti che andranno avanti quest’anno sono solo quelli in Messico, Brasile e Liberia per una cifra complessiva di 2,9 miliardi.

Niente più Italia quindi. Anzi per AM italy, oggi Acciaierie d’Italia, si fanno i conti positivi dell’abbandono. Con Arcelor Mittal che potrà deconsolidare debiti per 1 miliardo di dollari. E così la fuga, senza aspettare che il governo si prenda l’intero capitale, è di fatto già iniziata. Con i vertici del gruppo globale che sono intenzionati a rendere il più possibile neutra sui conti della multinazionale l’avventura di Taranto, Genova e degli altri poli.

Intanto non pagheranno il debito con l’ex Ilva di 1,4 miliardi come si erano ripromessi di fare quando presero in affitto dai commissari gli impianti. Certo il gruppo indiano ha messo soldi nell’ex Ilva con l’aumento di capitale da 1,3 miliardi. Quei soldi li hanno bruciati quasi del tutto le perdite. Per quasi 900 milioni nel primo anno, il 2019, e per altri circa 300 milioni nel 2020, secondo le stime formulate da Kpmg in quel report sui dati opachi di AM Italy. Ora però, restituendo al pubblico la grana Ilva, il gruppo rientra dall’aumento e ricostituisce il capitale bruciato a spese dello Stato.

Non solo ma nella breve gestione (poco più di due anni) italiana, l’ex Ilva ha nella sostanza fatto da sponda alle attività del gruppo con uno sbilancio tra costi e ricavi infragruppo tutto a scapito dell’ex Ilva. Come documentato da Kpmg, nelle transazioni infragruppo del colosso dell’acciaio l’ex Ilva avrebbe incassato come ricavi dalle altre società di ArcelorMittal 894 milioni, mentre avrebbero sopportato costi per acquisti di materia prima e servizi sempre dalle società del gruppo per ben 1,43 miliardi. Con uno sbilancio di risorse e flussi di fatto usciti da Ilva a favore di Arcelor Mittal di oltre mezzo miliardo. Nei fatti il gruppo ha usato l’ex Ilva caricandola di maggiori costi rispetto ai ricavi infragruppo.

Ma c’è anche un paradosso nell’intera vicenda. Arcelor Mittal è entrata in Italia poco prima che tracollassero i prezzi dell’acciaio per la sovraproduzione e l’eccesso di offerta. Una situazione in cui occorreva diminuire la produzione, anziché aumentarla. Se ne esce nel momento più brillante del ciclo dell’acciaio con i prezzi che da metà del 2020 hanno fatto un balzo all’insù. Sarebbe questo il momento per aumentare la produzione a fronte della fortissima domanda mondiale. E invece ecco la resa.

Tra l’altro la ripartenza fortissima del mercato dell’acciaio si vede eccome nei conti del gruppo a livello mondiale. Nel primo trimestre del 2021 il gruppo a livello mondo ha realizzato vendite per 16,2 miliardi di dollari con un margine industriale salito a 3,2 miliardi, oltre tre volte quanto realizzato a inizio del 2020. Si prefigura un’annata boom per il gigante siderurgico. Secondo il consenso degli analisti il fatturato quest’anno dovrebbe aumentare a un tasso del 27% con utili netti sopra i 6 miliardi. Soldi in cassa ce ne sono eccome. Ma Arcelor preferisce la strada della finanza piuttosto che degli investimenti industriali. Tra dividendi ai soci e buy back, cioè il riacquisto delle proprie azioni, Arcelor spenderà quasi 2 miliardi tra il 2020 e il 2021. Ma questi finiranno nelle tasche degli azionisti e a rafforzare il titolo, meno molto meno a garantire gli investimenti produttivi. Tanto l’ex Ilva è stata di fatto già cancellata dal portafoglio del gigante indiano. Con buona pace di chi crede ancora all’impegno fattivo di Arcelor in Italia.

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