Fin qui l’Europeo dell’Italia era stato tutta una festa. Le partite sempre a Roma, il girone materasso, le goleade, i cori, le notti magiche. Ma l’Europeo non è una festa, non si gioca solo in casa, contro avversari che si scansano. Non per una nazionale giovane, con tanto entusiasmo e meno talento, che non ha vinto ancora nulla. Ce lo ha ricordato l’Austria, negli ottavi di finale. Una partita sporca, non brutta, tutt’altro, pure cattiva. Come gli avversari. Una squadra che si aggrappa alle maglie, che morde le caviglie. Che l’Italia non aveva mai incontrato, ed evidentemente non era preparata ad incontrare. Tanto che ci ha messo 120 minuti, 90 angoscianti a reti bianche, 15 di liberazione, altri 15 di sofferenza, per venirne a capo: 2-1, solo dopo aver avuto paura.

Ci sono voluti i supplementari, i cambi di Mancini, un aiuto dal Var, una magia di Chiesa, per superare l’Austria. Una nazionale che ha dei limiti evidenti, ma li nasconde bene. Con Alaba, il regista esterno di questa formazione, punto di riferimento centrale pur giocando in fascia. Uno schieramento ordinato. E poi Arnautovic davanti, un piccolo Ibra, arrivato alla maturità no, sarebbe eccessivo per lui, ma comunque una stabilità sufficiente per essere calciatore di livello internazionale. Molto più in forma delle squadre cuscinetto incontrate finora, più solida, apparsa disastrosa all’esordio contro la Macedonia ma poi cresciuta pian piano, lontana dai riflettori, mentre sotto i riflettori l’Italia si imponeva come favorita. Nessuna pressione da una parte, tanta pressione dall’altra. Anche ma non solo così si spiega la partita di stasera, che avrebbe dovuto essere una formalità e invece si è trasformata in un incubo per almeno novanta minuti.

Bisognava aspettarselo, i contrasti duri, gli spigoli e le spallate senza dubbio, le giocate di fino, il giro palla e i ritmi altissimi, forse un po’ meno. Arnautovic mette subito le cose in chiaro: ammonito dopo 30 secondi per un fallaccio che lascia strascichi su Barella. Tutta la partita nella sua prima giocata, non sarà una passeggiata. Sorpresa all’inizio, l’Italia ci mette un po’ a entrare in gara. Un quarto d’ora, quando Barella colpisce di esterno su assist di Spinazzola impegnando il portiere avversario. È la prima occasione, è il segno che l’Italia è cresciuta, ha preso in mano la partita: ha chiuso gli avversari e si gioca in una metà campo sola. Però l’Austria risponde con Arnautovic che scappa in contropiede a Bonucci, poi conclude male, ma ricorda che non ci si può distrarre.

La chiave, per provare a scardinare l’ordinato schieramento austriaco, è il duello di Spinazzola contro Lainer (contro praticamente chiunque in questo Europeo a dire il vero): è l’azzurro che salta più spesso l’avversario e sembra sempre poter creare pericolo. Anche se tanta pressione non produce molto. Un tiro, clamoroso, da trenta metri, dal nulla di Immobile, un incrocio dei pali che avrebbe potuto essere un eurogol e mettere in discesa in match. Invece si va all’intervallo sullo 0-0 e la ripresa non sarà più semplice. Anzi. Si apre con l’Austria ancora più cattiva e una punizione di Alaba dal limite dell’area, pericolosissima, su cui Donnarumma può solo sperare. Nel secondo tempo gioca meglio l’Austria. Sulle mischie, le palle sporche, i campanili alzati in mezzo all’area, va a nozze. Trova (quasi) il vantaggio, con Arnautovic che infila Donnarumma dopo una sponda di Alaba e la distrazione di tutta la difesa, ma il Var annulla per fuorigioco. È la prima difficoltà di questo Europeo, che dovrebbe scuotere l’Italia. Per provarci Mancini cambia, Locatelli e Pessina per Verratti e Barella, poi anche Chiesa per Berardi e Belotti per Immobile. Due terzi di centrocampo e di attacco, la dimostrazione che qualcosa non ha funzionato.

I supplementari sono inevitabili, l’Austria se li è meritati. Ed è qui che finalmente si accende l’Italia. La accende Chiesa, l’azzurro che era mancato nella prima fase, accantonato, quasi perso, si ritrova e si riprende l’Italia nel momento più importante. Controlla quasi di faccia un cross di Spinazzola, incrocia al volo di sinistro, segna, allontana i fantasmi. Poi li scaccia definitivamente Pessina, che in mischia trova anche il raddoppio. Sembra finita, ma non lo è perché Donnarumma deve fare una grande parata su Gregoritsch e poi Kalajdzic, di testa su angolo, accorcia, trasformando anche gli ultimi cinque minuti nell’ennesima angoscia. Pericolo scampato, sospiro di sollievo. Per ora. Per i quarti, il Belgio o il Portogallo, la giovane Italia dovrà crescere. Forse è cresciuta stasera.

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