Lavoratori sfruttati su spiagge pagate allo Stato canoni irrisori, a volte evadendo il fisco. Una realtà fatta di rendite di posizione e illegalità diffusa praticata da molti imprenditori balneari potrebbe essere affrontata dal disegno di legge sulla concorrenza preannunciato dal presidente del Consiglio Mario Draghi al momento del suo insediamento, e che il governo dovrebbe approvare entro fine mese. In una recente lettera inviata a Draghi, l’Antitrust ha ricordato che “nel 2019, su un totale di 29.689 concessioni demaniali marittime (con qualunque finalità) ben 21.581 pagavano un canone inferiore a 2500 euro” e ha chiesto con urgenza la modifica dell’attuale norma nazionale – legge di bilancio 2019, approvata da M5S e Lega – che ha prorogato fino al 2034 le attuali concessioni balneari, violando così la direttiva europea Bolkestein del 2006 che impone la messa a gara dei diritti sul demanio marittimo. Diverse sentenze di Tar e Consiglio di Stato hanno recentemente imposto ai sindaci di disapplicare la legge nazionale a favore di quella europea – superiore nella gerarchia delle fonti – perché sull’Italia incombe la procedura di infrazione europea.

Quasi 180mila euro di ricavi annui a stabilimento ma 2 balneari su 3 non sono virtuosi per il fisco – Dall’analisi dei 5865 stabilimenti balneari inclusi nella tabella Mef dei contribuenti soggetti all’Indice Sintetico di Affidabilità emerge che nel 2018 gli imprenditori delle spiagge hanno dichiarato in media 178.900 euro di ricavi annui. La maggior parte degli stabilimenti considerati (5577) hanno ricavi annuali oltre i 30mila euro. Le dichiarazioni dei redditi di oltre due terzi di questi hanno un punteggio Isa inferiore a 8, vale a dire che non raggiungono i livelli minimi di affidabilità fiscale e quindi non accedono ai benefici premiali previsti dalla legge, quali la riduzione di un anno dei termini di decadenza per le attività di accertamento, l’esonero dall’apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione annuale e – se si ha un punteggio minimo di 8,5 – l’esclusione degli accertamenti analitico-presuntivi. Si tratta di stabilimenti che dichiarano ricavi medi annui di 160mila euro. Quelli che invece sono stati promossi dal fisco con un punteggio Isa superiore a 8 dichiarano circa 256mila euro. Poi ci sono 288 stabilimenti che dichiarano fino a 30mila euro. Di questi solo 46 hanno un punteggio Isa superiore a 8 con ricavi di poco meno di 20mila euro l’anno. La maggior parte – 242 – ha un punteggio inferiore a 8 con dichiarazioni dei redditi in media di 17mila euro annui.

Una forma di evasione, quella dei mancati scontrini su lettini e ombrelloni da parte di alcuni stabilimenti, che spesso si aggiunge alle ore di lavoro non contabilizzate nelle buste paga dei lavoratori: come dimostra la videoinchiesta del Fattoquotidiano.it sulle condizioni lavorative degli stagionali (PRIMA PUNTATA/SECONDA PUNTATA) diversi imprenditori balneari della riviera romagnola offrono contratti di lavoro in cui dichiarano molte meno ore di quante sono effettivamente richieste a bagnini e addetti alle spiagge.

Canoni irrisori finché non ci saranno le gare – Nel 2020 le 59 concessioni balneari del comune di Arzachena, nella Costa Smeralda, hanno pagato allo Stato, complessivamente, un canone di 19mila euro l’anno. Dunque, circa 322 euro ciascuna per un intero anno. Un prezzo inferiore ai 400 euro giornalieri richiesti per un ombrellone con 2 lettini all’Hotel Romazzino di Porto Cervo. A livello nazionale gli ultimi dati disponibili sono del 2016: le concessioni demaniali marittime, delle quali la stragrande maggioranza sono le spiagge attrezzate dove passiamo l’estate, sono circa 23mila e producono un gettito annuo da 103 milioni di euro, una cifra che è stabile dal 2011. Come ha spiegato a FQ Millennium in edicola un avvocato amministrativista che assiste diversi imprenditori balneari: “Finché non ci saranno nuove gare non si potranno cambiare le condizioni delle concessioni, dunque anche l’importo dei canoni”.

La feroce lotta per i privilegi acquisiti – Sui 7500 chilometri di coste italiane è in corso la guerra per il mantenimento dei privilegi acquisiti dagli imprenditori balneari. Al fronte vanno i sindaci, cui diverse sentenze di tribunali amministrativi hanno imposto di disapplicare la proroga quindicennale che viola la direttiva Bolkestein. In Liguria si è mossa anche la Corte dei conti aprendo un’indagine per danno erariale a seguito di mancate gare per le concessioni. Nei giorni scorsi il primo cittadino di Bari e presidente dell’Anci Antonio De Caro ha commentato la vicenda della spiaggia barese di Torre Quetta, dove il vecchio gestore “dopo essere decaduto dalla concessione per provate negligenze rispetto al contratto stipulato, dopo aver perso il giudizio con sentenza passata in giudicato, dopo essere stato raggiunto da una misura di interdittiva antimafia disposta dalla Prefettura, dopo non aver prestato la minima collaborazione nell’eliminare gli arredi installati, facendo così anticipare centinaia di migliaia di euro alla collettività”, ha fatto ricordo al Tar bloccando la gara. La vicenda riportata non è isolata. Come racconta l’inchiesta Spiagge Regalate. E i sindaci si ribellano pubblicata su FQ Millennium di giugno, i dirigenti dei comuni della Costa Smeralda, Olbia e Arzachena sono stati minacciati con denunce penali da Federbalneari Sardegna, semplicemente per aver applicato la legge.

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Concessioni balneari, quanto fatturano e quanto pagano allo Stato le società che gestiscono gli stabilimenti più costosi d’Italia

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