Chi lavora per lo Stato? Non può più subire “estorsione dallo Stato”. Parole di Gianpaolo Stanizzi, avvocato cassazionista del foro di Catanzaro che ha deciso di ribellarsi al silenzio su quanti vengono trascinati a picco nel dissesto dei 1400 comuni italiani. Lui stesso nuota da anni in quelle acque e ha 350mila euro di motivi per protestare. La boa dei suoi pagamenti, al pari di altri professionisti, si allontana di anno in anno e si fa più piccola sulla linea d’orizzonte. Si era illuso, come tanti, che i fondi del Recovery potessero ripianare un buco da oltre 40 miliardi di euro che rischia di ripercuotersi anche sui servizi ai cittadini. Ma nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la voce “dissesto” vale solo per quello idrogeologico, non per gli enti pubblici in default. Sullo sfondo della questione, una recente sentenza della Corte Costituzionale (80/2021) che rischia di aggravare la statistica dei comuni in dissesto: a metà maggio la Consulta ha dichiarato illegittima la norma che consentiva il ripiano in 30 anni: gli enti potranno usare i fondi dello Stato concessi nel periodo 2013-2015 solo per il ripiano ordinario e per massimo tre anni, non più come “dote” per spalmare il debito storico atto di fatto di vecchie fatture ai fornitori nei decenni a venire.

La voce che si leva da Catanzaro ricorda il rovescio della medaglia, e cioè il fatto che nessuno si preoccupi dei creditori quando dovrebbe. Tra questi ci sono migliaia di lavoratori, imprenditori e professionisti. Per paradosso tra questi figurano spesso gli stessi professionisti incaricati dallo Stato di sfrondare l’ammasso dei debiti e di risanare i bilanci. Anche loro, infatti, subiscono “l’effetto ghigliottina “del Testo Unico degli Enti Locali, la norma che consente a quelli in dissesto di abbattere del 60% un credito pecuniario, quasi sempre maturato anni ed anni prima. Stanizzi ha appunto tercentocinquantamila euro di motivi per denunciarlo. Negli anni ha svolto per diversi enti locali il suo lavoro per come riconosciuto anche dai commissari liquidatori nominati dalla Prefettura. Ad oggi vanta un credito di 110mila euro certificato, che sarebbe anche più alto se non fosse stato decurtato. Motivo per cui si ritrova egli stesso a rincorrere i propri (giusti) crediti in tribunale. Forte di questa brutta esperienza Stanizzi ha deciso di prendere carta e penna e scrivere direttamente al Presidente del Consiglio Mario Draghi (qui la lettera).

L’argomentazione è in punta di diritto ma parte dal principio universale per cui “chi ha offerto la propria onesta attività lavorativa all’ente locale, cioè allo Stato” non può finire per esserne vittima, stritolato dalla cartolarizzazione dei debiti che si abbatte anche su di lui. L’avvocato ricorda al Presidente del Consiglio che proprio l’Europa otto anni fa aveva chiesto all’Italia di intervenire sulla normativa del Tuel. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sin dall’ anno 2013, aveva ritenuto infatti la norma nazionale “gravemente lesiva del diritto di proprietà del cittadino”. “Con quella oramai datata sentenza – scrive l’avvocato – la Cedu ha sottolineato che, in quanto componente statale, un’autorità locale non può utilizzare le proprie difficoltà finanziarie come scusa per non onorare i pagamenti dovuti ai propri fornitori”. La nomina di un organo straordinario di liquidazione, in sostanza, “non può giustificare il mancato riconoscimento delle intere somme reclamate dai creditori dell’ente”.

Ricette per uscirne? Da una parte il Recovery dovrebbe essere usato innanzitutto per ripianare i conti degli enti locali. “È molto grave che non succeda – sostiene l’avvocato – Stanno arrivando fiumi di danaro. Come in ogni famiglia, è corretta regola di gestione del bilancio estinguere prima i debiti esistenti per poi affrontare nuove spese. Perciò, ritengo che sia corretto e necessario che lo Stato paghi prima tutti crediti dei fornitori per poi pianificare nuovi investimenti”.

La liberazione dal debito passa per quella dei creditori. Bisogna cambiare assolutamente la legge, è l’appello che Stanizzi, e non solo, aveva già rivolto ai predecessori di Draghi. “Colmi Lei – termina la lettera – per favore questa grave lacuna e restituisca respiro e tranquillità anche a chi ha servito le comunità locali con forniture di ogni genere o con prestazioni professionali. Sono migliaia e migliaia i creditori degli enti in default. Purtroppo, dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale questi aumenteranno a dismisura. Porti, perciò, per favore, avanti la modifica della normativa dettata per gli enti locali dissestati. La adegui alla datata decisione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, perfetta sintesi di tutta la normativa europea e nazionale. Un’Italia che predica anche la solidarietà non può continuare a calpestare la dignità dei propri fornitori, quella dignità che l’ articolo 1 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’ Unione Europea dice essere “inviolabile, da rispettare e da tutelare”.

t.mackinson@ilfattoquotidiano.it
twitter: @thomasmackinson

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