È scontro tra Regione Lazio e Campidoglio sulla cifra messa in campo per il contributo annuale per le disabilità gravissime, che al momento appare insufficiente per circa 1500 famiglie romane aventi diritto. “Per la disabilità gravissima abbiamo destinato 23,7 milioni a Roma Capitale nell’annualità 2021”, sottolinea Alessandra Troncarelli, assessora del Lazio alle Politiche sociali. “Con queste risorse – prosegue – garantiamo lo scorrimento delle liste di attesa del 2021 e garantiamo la continuità assistenziale”. Di parere opposto l’assessora alla Persona, Scuola e Comunità Solidale capitolina, Veronica Mammì che ammette il cortocircuito causato però, a suo avviso, dalla Regione Lazio che a dicembre scorso ha dato al Comune “circa 12,7 milioni – precisa – e ad aprile, altri 4,7 milioni che devono a questo punto necessariamente attendere tempi e procedure della variazione di bilancio per poter essere girati ai municipi”. Da via Cristoforo Colombo “avevano poi promesso altri 2,9 milioni, che però non sono ancora arrivati e che ci auguriamo non tardino oltre”, sottolinea.

Dietro questo caos di cifre circa la metà delle oltre 3100 famiglie romane, aventi diritto all’assegno, non ha ancora avuto accesso al contributo essenziale per assistere un proprio familiare, di circa 700-800 euro mensili. Inoltre, a quanto sembra, molte di queste famiglie non hanno visto neanche riconosciuta la continuità assistenziale, il principio cardine di questo contributo fondamentale: garantire in primis il fondo a chi lo ha ricevuto anche l’anno precedente. Una beffa doppia per le famiglie che devono prendersi cura dei propri cari spesso affetti da malattie degenerative che quindi, con il passare del tempo, tendono inevitabilmente a peggiorare. Il principio della continuità assistenziale, nelle linee guida regionali per la programmazione territoriale delle prestazioni assistenziali domiciliari in favore dei cittadini in condizione di disabilità gravissima, è sottolineato al primo punto tra i criteri di priorità per l’accesso al contributo annuale. Criterio recepito da un Dpcm del 2019 e sottolineato anche dal Comune di Roma al Fatto.it quando, circa un mese fa, il nostro giornale aveva denunciato il mancato contributo alle oltre 1500 famiglie romane.

Nella guerra a colpi di cifre tra Regione e Comune scaturita da questa vicenda, l’assessora capitolina, aveva spiegato che con le risorse a disposizione si potevano “soddisfare esclusivamente le circa 2400 persone in continuità assistenziale”, di fronte alle oltre 3100 persone che avevano i requisiti per ricevere il contributo nel 2021: sottolineando quindi che almeno le famiglie che nel 2020 lo avevano ricevuto non sarebbero rimaste escluse. Un’affermazione che però, oltre ad ammettere implicitamente comunque l’esclusione di altre 700 famiglie aventi diritto al contributo, al momento è smentita dalle numerose segnalazioni arrivate all’associazione Viva la Vita onlus che assiste i malati Sla. “Circa 20 famiglie – denuncia il presidente Mauro Pichezzi – che negli anni precedenti avevano ottenuto l’assegno mensile quest’anno sono rimaste tagliate fuori. Molte di loro, a causa delle condizioni in cui versano i propri cari, beneficiano da anni del contributo. Pur rispondendo quindi al criterio della continuità assistenziale indicato come prioritario nelle linee guida, si trovano a non percepire un supporto essenziale sulla base del quale hanno ritenuto di poter assumere impegni contrattuali con il personale di assistenza. Ciò significa che, al momento, molte famiglie si trovano a dover far fronte alle retribuzioni dei badanti precedentemente assunti e ai relativi oneri contrattuali, senza avere spesso le risorse economiche per poterlo fare. Parliamo anche di casi – prosegue Pichezzi – che sono posizionati nella graduatoria per il contributo poco al di sotto della metà, non nelle ultime posizioni”.

Dietro i numeri e le cifre ci sono storie di donne e di uomini che dedicano letteralmente la propria esistenza alla cura dei familiari. Come Alessandra, moglie di Andrea al quale circa quattro anni fa hanno diagnosticato la Sla: “La nostra vita è stata stravolta, mio marito deve essere assistito continuamente, 24 ore al giorno”, sottolinea. Andrea, fino a qualche anno fa faceva il dentista e con l’insorgere dei primi sintomi della malattia ha dovuto interrompere la propria professione. Ora non può muoversi ed è nutrito e ventilato artificialmente. Anche per questo motivo nel 2020 ha usufruito del contributo previsto per le disabilità gravissime ma quest’anno è rimasto escluso pur occupando una buona posizione in graduatoria: “Siamo più o meno nel mezzo di questa triste classifica, al posto 1540 su oltre 3100 richiedenti”, precisa Alessandra. “Ho dovuto abbandonare il lavoro per assistere mio marito – prosegue – e ho anche due figlie, una di 22 anni e una di 17, alle quali vorrei poter dedicare un po’ di tempo ogni tanto”.

Altra patologia ma stesso problema per Sirio, bimbo affetto da tetraparesi spastica, assistito dalla mamma, fondatrice della pagina social Sirio e i tetrabondi, nata con l’intento di sensibilizzare la società civile su questo tema. Anche lei non ha ottenuto il contributo quest’anno, pur essendo poco sotto la metà in graduatoria e avendo ricevuto l’assegno mensile l’anno precedente.

C’è chi invece, in assenza di un welfare degno di questo nome, ha la fortuna di avere persone che si autotassano per la causa, per pagare tutte le spese necessarie tra assistenza, materiali e medicine varie. “Anche se con sette mesi di ritardo, nel 2020 abbiamo preso il contributo, arretrati inclusi – spiega Susanna, che assiste la sorella affetta da Sla – ma quest’anno al momento non è arrivato nulla. Per fortuna abbiamo un gruppo di amici meravigliosi che ci dà una mano per pagare una badante che ovviamente ci costa più degli 800 euro mensili che percepivamo lo scorso anno, che comunque erano preziosi. Per garantire una vita dignitosa ad un malato di Sla servono circa 4 mila euro al mese”.

Nel caos generale che emerge dai numerosi drammi familiari di chi deve assistere senza sosta i propri cari, c’è anche la storia di una signora di 82 anni affetta da Sla in stato avanzato, con respirazione e nutrizione artificiale, assistita dal marito di 86 anni e tre figlie che sacrificano parte della propria vita professionale e familiare per supportare i genitori. L’anziana ha avuto tardivamente accesso al contributo per disabilità gravissima, pur essendo in possesso dei necessari requisiti, per disguidi legati alla valutazione della sua richiesta nel 2018. Finalmente nel 2019 ha ottenuto l’assegno per la disabilità gravissima e anche nel 2020 ha avuto accesso al contributo ma quest’anno è rimasta tagliata fuori pur occupando la posizione 2097 in graduatoria. Decine le storie raccolte dalle associazioni in queste settimane e mentre le istituzioni si accusano a vicenda, le famiglie continuano ad aspettare.

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