Molti commentatori poco attenti hanno pensato che le richieste della Commissaria europea alla concorrenza, Margrethe Vestager, a proposito dei parametri chiave da adottare per garantire la discontinuità economica tra Ita e Alitalia siano frutto dell’ostilità di Bruxelles nei confronti dell’Italia.

Ita, l’azienda di proprietà dello Stato che nascerà sulle ceneri di Alitalia, per l’Ue deve essere una compagnia nuova di zecca. Il nuovo vettore dovrebbe, infatti, gestire solo le attività di volo della compagnia in amministrazione straordinaria: di conseguenza, niente manutenzione e niente handling. La nuova Ita decollerebbe quindi con 5.000 dipendenti e una flotta di soli 60 velivoli (metà di quelli in capo all’attuale Alitalia). Gli esuberi sarebbero invece 6.000, che andrebbero gestiti con i prepensionamenti, visto che i nuovi ammortizzatori sociali sono ancora tutti da definire.

Il brand Alitalia, oggetto di aspro confronto con la Commissione, dovrebbe essere mantenuto, anche se non è escluso che possa trattarsi solo di un periodo di affitto per assicurare la continuità aziendale, perno chiave – quest’ultimo – della trattativa con l’Ue. È stato invece raggiunto l’accordo sul programma Millemiglia, che sarà venduto, e sulla cessione di alcuni slot a Linate e Fiumicino, mentre la ricerca di un partner con cui allearsi sarebbe orientata su Lufthansa. L’Ue ha annunciato, infine, che sta ultimando la sua indagine sui prestiti ponte da 400 e 900 milioni di euro concessi ad Alitalia tra il 2017 e il 2019.

Tutti questi vincoli per assicurare il rispetto delle norme comunitarie derivano da precedenti esperienze negative. La Commissione europea era infatti rimasta scottata, sempre a proposito di aiuti di Stato e di discontinuità operativa, dalla vicenda di un’altra azienda del settore dei trasporti italiana: la Sea, che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa.

Nel 2012, la Commissione aveva stabilito che i 360 milioni di euro girati fra il 2002 e il 2010 da Sea alla sua controllata Sea Handling, che gestiva lo smistamento dei bagagli e i servizi a terra, erano da considerare aiuti di Stato. Nel luglio 2014, poi, Bruxelles aveva avviato un’indagine approfondita per comprendere se ci fosse continuità fra Sea Handling e la neonata Airport Handling, NewCo creata da Sea facendo finta di separare e privatizzare Sea Handling allo scopo – secondo la Commissione – di non pagare i 360 milioni di multa.

La lunga controversia ha coinvolto persino l’allora Presidente della Terza sezione del Tar della Lombardia, che fu imputato per falso ideologico dal Tribunale di Milano con l’accusa di aver modificato una sentenza in favore del colosso aeroportuale lombardo, bloccando una maximulta europea da 452 milioni di euro per aiuti di Stato. Nel dicembre 2020, finalmente, la Corte di giustizia Ue ha respinto l’ultimo ricorso del Comune di Milano contro la decisione della Commissione, che aveva ordinato il recupero dei 360 milioni di euro erogati a Sea Handling.

La Corte ha ricordato che Sea Handling esercitava attività di assistenza a terra presso gli aeroporti di Milano Linate e Milano Malpensa, come società interamente controllata da Sea, il cui capitale sociale, fino al dicembre 2011, era quasi interamente detenuto da soggetti di diritto pubblico, tra cui il Comune di Milano. Il 13 dicembre 2018 il Tribunale Ue aveva già respinto tutti i motivi del ricorso presentati dal Comune di Milano, e il Comune aveva deciso di impugnare la sentenza davanti alla Corte di giustizia, che a dicembre 2020 ha definitivamente rigettato il ricorso.

Secondo i giudici europei, il fatto che il Comune di Milano fosse azionista di maggioranza della Sea e che esercitasse su di essa un controllo costante erano sufficienti per identificare tale società come “impresa pubblica” e per qualificare gli apporti di capitale da essa concessi alla Sea Handling come risorse pubbliche e quindi aiuti di Stato, che adesso vanno restituiti con gli interessi.

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