Siamo già nel periodo pre conclave? Sì, perché a osservare con attenzione le mosse di alcuni eminenti cardinali elettori, che per età possono ancora sperare di entrare nella Cappella Sistina, sembra che sia già iniziata la partita per la successione di Papa Francesco. E non c’è nulla di cui scandalizzarsi perché quella per il dopo Wojtyla iniziò grossomodo nella seconda metà degli anni Novanta, poco meno di un decennio prima della morte di San Giovanni Paolo II. A dimostrazione che il periodo pre conclave ha sempre portato bene ai Pontefici felicemente regnanti che hanno visto tanti papabili alla successione morire prima di loro. In questo la Sede Vacante del 2005 è un esempio da manuale.

Diverso, invece, è stato il caso del 2013 con le dimissioni improvvise di Benedetto XVI e la totale impreparazione dei cardinali elettori al conclave che si sarebbe svolto appena un mese dopo quell’annuncio shock. La decisione del cardinale arcivescovo di Monaco e Frisinga, Reinhard Marx, che si è dimesso a causa dello scandalo della pedofilia del clero che ha travolto la Chiesa tedesca, può forse essere annoverata tra le mosse del pre conclave.

Sia chiaro, ciò non vuol dire che l’inizio della Sede Vacante sia immediato. Tutt’altro, come ha dimostrato la fine del lungo regno wojtyliano. Ma è la dimostrazione che la discussione per la successione, non fuori, bensì all’interno del Collegio cardinalizio, è già iniziata e da tempo. Marx, progressista e membro del cosiddetto cerchio magico dei sette porporati del Consiglio di cardinali che ha elaborato la riforma bergogliana della Curia romana, non può certo essere etichettato banalmente come un oppositore di Francesco.

Questa volta, e forse per la prima volta, la critica al pontificato del Papa latinoamericano arriva non da un porporato considerato antagonista, bensì dalla stretta cerchia di coloro che con lui hanno condiviso in questi otto anni di governo la cabina di regia. E questo è un dato che non può essere assolutamente sottovalutato. Nella sua lettera di dimissioni, Marx fa un’analisi impietosa della Chiesa tedesca e non solo, riferendosi in particolare al tema della pedofilia, ma con una lettura che egli stesso non esclude possa essere allargata a molti altri aspetti problematici del cattolicesimo contemporaneo.

Il porporato, infatti, scrive: “Mi pare, e questa è la mia impressione, di essere giunti ad un punto morto che, però, potrebbe diventare anche un punto di svolta secondo la mia speranza pasquale”. Parole che richiamano quelle che un eminente confratello di Bergoglio, il cardinale Carlo Maria Martini, lasciò come suo testamento spirituale. All’epoca sul trono di Pietro regnava ancora Benedetto XVI e nulla faceva presagire che pochi mesi dopo si sarebbe dimesso.

“La Chiesa – tuonò Martini prima di morire – è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?” E aggiunse: “La Chiesa è stanca, nell’Europa del benessere e in America. La nostra cultura è invecchiata, le nostre Chiese sono grandi, le nostre case religiose sono vuote e l’apparato burocratico della Chiesa lievita, i nostri riti e i nostri abiti sono pomposi. Queste cose però esprimono quello che noi siamo oggi?”.

Parole che sicuramente hanno pesato molto nella scelta del successore di Ratzinger. Proprio Benedetto XVI ha sottolineato che “se un Papa ricevesse solo gli applausi dovrebbe chiedersi se non stia facendo qualcosa di sbagliato. In questo, infatti, il messaggio di Cristo è uno scandalo iniziato con Cristo stesso. Ci sarà sempre contraddizione, e il Papa sarà sempre segno di contraddizione. È una sua caratteristica distintiva, ma ciò non significa che deve morire sotto la mannaia”.

Non è un caso, dunque, se recentemente Francesco ha sottolineato che “il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia”. Un appello all’unità che il Papa spera non sia vano.

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