La notizia che l’organo preposto da Facebook alle questioni etiche abbia permutato da permanente a due anni l’esclusione di Donald Trump da tutti i social controllati dall’impresa ha fatto il giro del mondo. Si è così colta l’occasione di rivisitare gli eventi che hanno portato lo scorso gennaio all’assalto a Capital Hill. Tutti gli opinionisti sono tornati a parlare della censura esercitata da Facebook nei confronti dell’ex presidente, quelli a favore dell’ex presidente hanno ricordato che più di 70 milioni di americani hanno votato per Trump, e dunque mettergli la museruola nei social equivale a privarli della possibilità di interagire con lui attraverso questi canali. Chi invece è anti Trump è rimasto sorpreso che l’esclusione sia stata ridotta a due anni, meglio quella permanente insomma.

Prima di proseguire soffermiamoci per un paragrafo sul potere immenso di organizzazioni come Facebook, imprese private bisogna ricordare, multinazionali che grazie alla loro presenza capillare nel villaggio globale riescono a pagare le tasse dove le aliquote sono più basse e anche a evitarle. Facebook può mettere a tacere chiunque, questa volta è toccato all’ex presidente degli Stati Uniti, la prossima potrebbe toccare a uno di noi. La decisione viene inizialmente presa dagli algoritmi e, nel caso di personaggi come Trump, revisionata dal management e da un gruppo di 20 consulenti. Nessuno di costoro è stato eletto democraticamente e quindi non deve rispondere all’elettorato. A prescindere da quello che Trump abbia scritto sui post e tweet la vera domanda da porsi è la seguente: è giusto affidare l’etica dell’informazione ad un sistema di questo tipo?

La notizia che invece non ha fatto il giro del mondo ed è rimasta confinata nei periodici specialistici è un’altra: la Commissione europea ha aperto un’indagine antitrust formale nei confronti di Facebook. Lo scopo è valutare se l’impresa abbia violato le regole di concorrenza dell’Ue utilizzando i dati pubblicitari raccolti, in particolare quelli degli inserzionisti, per competere con loro nei mercati in cui Facebook è attivo come gli annunci economici. L’indagine formale valuterà anche se Facebook collega il suo servizio di annunci pubblicitari online “Facebook Marketplace” al suo social network, in violazione delle regole di concorrenza dell’Ue.

Il vicepresidente esecutivo Margrethe Vestager, responsabile della politica di concorrenza dell’Ue, ha dichiarato: “Facebook è utilizzato da quasi 3 miliardi di persone su base mensile e quasi 7 milioni di aziende fanno pubblicità su Facebook in totale. Facebook raccoglie grandi quantità di dati sulle attività degli utenti del suo social network e oltre, consentendogli di rivolgersi a gruppi di clienti specifici. Esamineremo in dettaglio se questi dati diano a Facebook un vantaggio competitivo indebito, in particolare nel settore degli annunci economici online, dove le persone acquistano e vendono beni ogni giorno e dove Facebook compete anche con le aziende da cui raccoglie i dati. Nell’economia digitale di oggi, i dati non dovrebbero essere utilizzati in modi che distorcono la concorrenza”.

Il modello di Facebook poggia sulla raccolta e sullo sfruttamento dei nostri dati, Facebook è il minatore e noi la miniera. Si tratta di un’organizzazione a scopo di lucro che non ha quale fine la divulgazione dell’informazione, ad esempio un quotidiano o una rete televisiva, ma la massimizzazione dei profitti. È quanto l’indagine dell’UE ci ricorda.

Tornando alla domanda di cui sopra forse è il caso di riformularla: non è pericoloso affidare l’etica dell’informazione ad un’impresa che la usa quale materia prima di scambio?

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