In un anno di pandemia le Regioni italiane hanno attivato solo 922 nuovi posti letto di terapia intensiva. Appena un quarto rispetto ai 3.591 previsti dal governo Conte, che con il decreto legge del 19 maggio 2020 aveva stanziato per il potenziamento dell’assistenza ospedaliera in totale oltre 1,4 miliardi, di cui 711 milioni sono stati richiesti dalle Regioni proprio per incrementare i posti letto disponibili in terapia intensiva. Il Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti mostra che quei soldi sono rimasti nel cassetto e i posti letto in gran parte mai attivati. “A fine aprile l’attuazione dei lavori di potenziamento risulta compiuta solo al 25,7 per cento“, si legge nel rapporto, “con differenze particolarmente pronunciate tra Regioni”. In Valle d’Aosta, Molise e Basilicata il monitoraggio condotto dal ministero della Salute non segnala alcun progresso, mentre solamente la Provincia di Bolzano a fine aprile ha attivato tutti i 40 posti letto previsti. Tra le Regioni migliori ci sono poi Emilia-Romagna e Abruzzo (sopra al 75%), tra le peggiori risultano Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia, che hanno attivato meno del 10% delle terapie intensive previste.

Il rapporto della Corte dei Conti, basato sui dati del ministero della Salute, mostra come nel complesso manchino all’appello 2.669 posti letto di terapia intensiva previsti dal piano dell’allora commissario straordinario all’emergenza, Domenico Arcuri, e per cui erano stati stanziati i soldi già nel maggio dello scorso anno. Posti che durante la seconda ondata dovevano servire a evitare il collasso dei reparti già sperimentato nella primavera 2020, soprattutto nel nord Italia e in particolare in Lombardia. La saturazione delle terapie intensive è stata infatti inserita a ottobre scorso tra i parametri che determinano i colori delle Regioni, le aperture e le chiusure. Ma anche in autunno poco o nulla è stato fatto: a ottobre i governatori hanno accusato Arcuri di non aver fornito i ventilatori polmonari. Arcuri ha replicato sottolineando proprio i ritardi regionali: già allora mancavano all’appello 1600 posti letto per cui era già stato inviato il materiale.

Il piano del governo Conte prevedeva di portare tutte le Regioni ad avere una dotazione di 0,14 posti letto di terapia intensiva ogni mille abitanti, per “adeguare con immediatezza la disponibilità di strutture di ricovero in termini di posti letto di terapia intensiva e semi intensiva, in linea con i numeri crescenti della pandemia interrompendo quella tendenza alla riduzione che aveva caratterizzato soprattutto l’ultimo decennio“, scrive la Corte dei Conti. Che nel suo rapporto sottolinea anche come siano state destinate altre risorse e previste ulteriori misure anche per la dotazione di personale sanitario, per il rafforzamento delle strutture territoriali e per ripristinare le attività ospedaliere che si erano fermate durante il lockdown, come gli screening. Provvedimenti che “miravano ad incidere sugli aspetti più problematici dell’assistenza, imputati soprattutto alle scelte operate negli ultimi anni“, si legge nelle relazione. In pratica, l’obiettivo era intervenire sulle fragilità già esistenti del sistema sanitario italiano che il coronavirus ha messo completamente a nudo.

Gli 1,413 miliardi di euro stanziati il 19 maggio 2020 servivano quindi solamente a potenziare l’assistenza ospedaliera, come previsto dall’articolo 2 del decreto legge numero 24. Quindi, per adeguare la dotazione di posti letto di terapia intensiva e semi-intensiva, per gli interventi di ristrutturazione dei Pronto soccorso (in particolare, creare percorsi separati tra pazienti Covid e non-Covid), così come per aumentare le ambulanze a disposizione. “Gli interventi programmati dalle Regioni sono stati approvati dal ministero”, scrive ancora la Corte dei Conti, riportando poi il quadro degli interventi, che mostra i gravi ritardi nell’attuazione. In Lombardia, ad esempio, risultano attivati 47 posti letto di terapia intensiva su 585 previsti. In Piemonte i posti attivati al 29 aprile sono 20 su 299 previsti. In Veneto a metà aprile sono 60 su 211, in Sicilia appena 10 su 301. Meno peggio fanno la Puglia che a fine mese ne ha attivati 71 su 276 o il Lazio con 97 su 282.

Ma i ritardi non riguardano solo l’attivazione dei posti letto in terapia intensiva. “Simile l’attuazione delle postazioni di semi-intensiva: dei 4.238 posti letti previsti, ne erano stati portati a termine il 25,5 per cento, 1081 posti letto”, si legge nel rapporto, che cita sempre i dati del monitoraggio relativi a fine aprile. L’obiettivo del governo era riqualificare l’area semi-intensiva, “mediante adeguamento e ristrutturazione di unità di area medica, prevedendo che tali postazioni siano fruibili sia in regime ordinario, sia in regime di trattamento infettivologico ad alta intensità di cure”. In base all’andamento della curva pandemica, la metà degli oltre 4mila posti in semi-intensiva previsti potevano essere convertiti – nelle intenzioni – in strutture per la terapia intensiva. E’ rimasta una previsione teorica, perché in un anno ben 6 Regioni non hanno attivato nemmeno uno di questi posti letto. La Provincia di Bolzano ha attivato 37 su 37 previsti, l’Abruzzo il 79,3%, mentre Piemonte, Veneto e Campania ne hanno realizzati circa la metà. Tutte le altre Regioni hanno fatto peggio.

Gli interventi previsti sui Pronto soccorso erano 474: appena 65 di questi sono stati realizzati (il 13,7 per cento). Nei programmi era prevista infine l’implementazione dei mezzi di trasporto sanitario. Delle 230 ambulanze previste ne erano state acquistate 108 (il 47%) e consegnate e collaudate 44, di cui 29 in Campania e 9 in Emilia-Romagna. E i soldi stanziati dal governo Conte che fine hanno fatto? Sono stati infilati nel Pnnr: il piano prevede infatti un programma di ammodernamento del parco tecnologico ospedaliero. “A questo fine sono stanziati 4,05 miliardi, di cui 1,41 miliardi corrispondono a quelli già previsti con il dl 34/2020 (articolo 2) per il potenziamento dei letti di terapia intensiva, sub intensiva e per l’ammodernamento dei Pronto soccorsi”, spiegano i magistrati contabili.

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