Una lettera straziante, scritta quasi 3 anni fa, in cui faceva affiorare nero su bianco il dolore per il razzismo vissuto quotidianamente sulla sua pelle. Seid Visin, 20enne di origine etiope, si è suicidato venerdì nella sua casa a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno. Si era trasferito in Italia a soli 7 anni, adottato da una famiglia della città campana in cui viveva e aveva giocato nelle giovanili di Inter, Milan e Benevento. Una carriera professionistica abbandonata nel 2016 e una vita segnata dagli “sguardi schifati per il colore della mia pelle“. Lo scrive di suo pugno, in un lungo post su Facebook del 2019, in cui racconta la discriminazione che ha dovuto affrontare. “Il gesto estremo di Seid non deriva da episodi di razzismo”, hanno però voluto chiarire i genitori del giovane talento in una dichiarazione a Telenuova, escludendo con fermezza ogni correlazione.

“Mio figlio non si è ammazzato perché vittima di razzismo. E’ sempre stato amato e benvoluto, stamane la chiesa per i suoi funerali era gremita di giovani e famiglie”, specifica poi all’Ansa Walter Visin, padre adottivo dell’ex calciatore, che a proposito della lettera scritta dal giovane dice: “Fu uno sfogo, era esasperato dal clima che si respirava in Italia. Ma nessun legame con il suo suicidio, basta speculazioni“. Quanto alle cause dell’accaduto, “non voglio parlare delle questioni personali di mio figlio. Dico solo che era un uomo meraviglioso“.

Le sue parole – “Ovunque io vada, ovunque io sia, sento sulle mie spalle come un macigno il peso degli sguardi scettici, prevenuti, schifati e impauriti delle persone”, scriveva Seid tre anni fa, evidenziando quanto quelle occhiate gli ricordassero che il colore della sua pelle instillasse – ad esempio – il dubbio che fosse un ladro nei negozi o un borseggiatore sui mezzi pubblici. Nella lettera Seid rivendicava poi di non essere “un immigrato”, visto che la sua storia in Italia inizia con l’adozione a soli 7 anni. Allora, continuava, “ricordo che tutti mi amavano. Ovunque fossi, ovunque andassi, tutti si rivolgevano a me con gioia, rispetto e curiosità. Adesso sembra che si sia capovolto tutto”. Un capovolgimento determinato da espliciti atti di razzismo: “Ero riuscito a trovare un lavoro che ho dovuto lasciare perché troppe persone, specie anziane, si rifiutavano di farsi servire da me e, come se non mi sentissi già a disagio, mi additavano anche come responsabile perché molti giovani italiani (bianchi) non trovassero lavoro”.

Gesti di discriminazione che l’avevano portato a una svolta interiore, alla vergogna “di essere nero, come se avessi paura di essere scambiato per un immigrato, come se dovessi dimostrare alle persone, che non mi conoscevano, che ero come loro, che ero italiano, bianco”. Paura che avevano portato Seid a fare “battute di pessimo gusto su neri e immigrati (…) come a sottolineare che non ero uno di loro. Ma era paura. La paura per l’odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati”. Alla fine del suo post, Seid chiariva che quello che provava e che viveva sulla sua pelle non era nulla rispetto “all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente ‘Vita‘”.

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