di Gianluca Pinto

Per l’ennesima volta sento parlare di “fallimento della politica” riguardo alla caduta del governo Conte (II). Nella trasmissione Otto e mezzo di venerdì scorso il giornalista Alessandro De Angelis ha continuato a sostenere questa tesi secondo me spericolata. È troppo chiedere a chi sostiene questo argomento nei dibattiti televisivi di spiegarlo senza dare alla parola “politica”, significati ambigui se non alle volte strumentali?

La politica, se la si intende nel vero senso della parola, ha sempre a che fare con l’opinione pubblica e si misura anche con i dibattiti che genera nel paese. Da questo punto di vista, quello che ho notato io negli ultimissimi anni è stata, in realtà, una certa vitalità della discussione tra le persone rispetto ai temi della politica. Abbiamo visto due coalizioni di segno opposto con lo stesso Presidente del Consiglio, cosa che ha aperto un dibattito grosso nel paese. I due governi Conte (nati perché una forza votata in Parlamento ha cercato di fare ciò che aveva promesso in campagna elettorale cercando un accordo con chi avesse condiviso il programma), siano piaciuti o meno, hanno rappresentato aperti momenti di confronto nell’opinione pubblica.

Abbiamo visto entrare nella discussione della “politica fallimentare” alcuni temi nuovi (ad esempio il sostegno contro la povertà come essenza della cittadinanza e non come assistenza sociale: un approccio completamente diverso) ed altri tenuti da tempo sotto il tappeto (ad esempio il ruolo della sanità pubblica, le imprese e gli appalti). Abbiamo visto alcune decisioni concrete: il reddito, il decreto dignità, qualcosina sulla giustizia, il superbonus, il taglio ai vitalizi, eccetera. Con la pandemia abbiamo visto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte riuscire portare a casa oltre 200 miliardi, quando la maggior parte dei commentatori e dei giornali lo sbeffeggiavano.

La cosa più importante, tuttavia, è che la parola “politica”, in una democrazia, contiene nei suoi significati anche un grosso fattore di riferimento alla “rappresentanza”. Consiglierei di accettare la lezione del “rasoio di Occam” e di non cercare di alterare la concretezza di quello che è successo al Conte II aggiungendo cause diverse, che oberano il discorso spostando tutte le argomentazioni sulla politica e la sua inutilità: perché questo alla fine è il messaggio che si sta pericolosamente veicolando.

Dire che la politica ha fallito, senza pensare al significato delle parole, significa anche dire sotto traccia che gli italiani hanno, alla fin fine, votato male. Ma siamo scherzando? Io, da cittadino italiano, mi sento offeso da queste affermazioni. De Angelis e altri mi avrebbero visto ben d’accordo se avessero detto che c’è stata una “soppressione della politica”, perché di “soppressione” e non di “fallimento” si tratta. C’è stata la soppressione di una politica che non era tecnica né “bancaria” e che comunque, guarda tu questi incompetenti, ci aveva persino portato più di 200 miliardi (ma il nostro Presidente della Repubblica non avrebbe potuto dire: “date la fiducia al Conte 2 perché se no si va al voto”? Questo mi è rimasto come interrogativo inevaso).

Non vorrei pensare male, ma spero che questa elisione strumentale del riferimento alla rappresentanza nel significato della parola “politica” non voglia dire che siamo già in una fase di propaganda avanzata. Sembra quasi che si voglia ridefinire, a suon di campagne dei media, il concetto di democrazia per portare l’opinione pubblica a pensare che il potere sia gestito meglio quando nelle mani dei tecnici e quindi dei padroni, facilitando così (anche con l’utilizzo della tesi del “fallimento della politica”) gli scavalcamenti sempre più frequenti della delega di rappresentanza con la scusa del famigerato ”fare” contro “il parlare”.

Speriamo di non dover più sentire insistenti parole offensive (come fossero un copione) su questo argomento, perché non mi piacerebbe passare dal detto “fallimento della politica” al fatto “fallimento della democrazia”.

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