I giornali hanno dato la notizia e subito sono passati ad altro. Non va bene, alcuni fatti meritano un’attenzione in più. Dunque, adesso si bendano le alunne. Per interrogarle. E’ successo a Verona, non in una scuola di campagna della Calabria povera e arretrata ma nel ricco e sviluppato nord est, nella terra di Salgari che, nonostante fosse dotato di notevole fantasia, non avrebbe immaginato una scena simile, rozza e primitiva, nemmeno in Malesia nel lontano passato; è accaduto al liceo Montanari, nella terra di Giulietta e Romeo, “città dell’amore”, per volontà d’una prof di Tedesco, ignara che bendare un’alunna non ha nulla a che fare con l’amore e l’insegnamento.

E’ un dato su cui riflettere. Cos’è diventata la nostra scuola se accadono cose simili? A che livello di stress sono sottoposti gli alunni? Quanti prof inadeguati – magari preparati, ma carenti nei metodi, nella didattica, nella pedagogia – ci sono nelle nostre scuole? Ho visto troppi colleghi “sui generis” per non sapere cos’è successo nel liceo di Verona.

La prof di Tedesco era convinta d’essere nel giusto, di fare il bene della classe, d’essere “molto professionale” cercando l’interrogazione oggettiva. E’ uno degli errori educativi più comuni: la valutazione che prende il sopravvento sulla formazione. E, all’epoca del Coronavirus, con la didattica a distanza che amplifica i problemi, l’errore prende la forma ridicola e destabilizzante dell’alunna bendata durante l’interrogazione in Dad.

“Si bendi, voglio vedere se ha studiato davvero”, dice la prof. Giusta la reazione della quindicenne: “Mi sono sentita a disagio, come se mi stessero accusando d’imbrogliare”; giusta la protesa dei compagni che hanno sentito la richiesta “offensiva, repressiva, violenta”. Tutto giusto, anche il possibile provvedimento disciplinare delle autorità scolastiche. E tuttavia si ha la sensazione che, restando a questo livello, la risposta non sia adeguata, perché quanto accaduto non è solo un problema disciplinare, né il caso isolato d’una prof “schizzata”. Quante volte abbiamo scritto di maestre – non solo nella scuola materna – che picchiano i bambini? Quante volte abbiamo denunciato soprusi e aberrazioni mascherati da interventi educativi?

Intendiamoci, occorre intervenire, gli errori vanno puniti. Ma non basta. Dobbiamo interrogarci (davvero) sui criteri di selezione della classe docente. E’ sufficiente conoscere la propria disciplina – tedesco, filosofia, matematica… – per essere un buon docente? Gli studi di pedagogia, didattica, psicologia, dicono che “la funzione docente è molto delicata” e non va considerata un mestiere come tanti altri. Un tempo si parlava di “missione”. Il termine non è più di moda ma è sbagliato sottovalutare il concetto a cui allude: Maria Montessori, John Dewey, Jerome Bruner, per fare qualche nome, per funzione docente intendono la capacità di relazionarsi con la classe con competenza, certo, ma nello stesso tempo con attitudine psicologica e mentale tesa a valorizzare i bisogni del discente (Dewey parla di “centralità dell’alunno”).

Come misuriamo oggi l’attitudine psicologica di un candidato alla docenza? Semplicemente non lo facciamo con la serietà dovuta. Non basta il cosiddetto “Anno di formazione” prima dell’immissione in ruolo: è ridotto a vuota formalità. Non facciamo mai nulla, per la scuola, con l’attenzione dovuta. Riportare in presenza gli studenti, per dire, oggi genera perplessità dopo la scelta di “rinviare il vaccino per gli insegnanti.”

Ma dicevamo dell’attitudine alla docenza: qualche consiglio non richiesto: a) creare corsi universitari obbligatori per chi voglia dedicarsi all’insegnamento; b) prevedere prove attitudinali nei concorsi; c) stabilire che tutti i docenti, anche di matematica, tedesco, fisica, eccetera, studino Psicologia dell’età evolutiva; d) prendere atto, una volta per tutte, che l’insegnate non ha per le mani oggetti nella “fabbrica-scuola”, ma persone con una dignità che la benda agli occhi e mille approcci sbagliati non devono calpestare.

Ministro Bianchi, la sua “scuola affettuosa”, se non è vuota retorica, richiede interventi urgenti (anche) nella selezione dei docenti, perché siano all’altezza del compito loro assegnato. Poi, certo, c’è tutto il resto: l’edilizia scolastica, perché i tetti delle aule non crollino sugli alunni; l’aggiornamento dei programmi; l’ascolto del disagio dei prof; un rinnovato rapporto scuola-famiglia-territorio; stipendi europei per gli insegnanti; classi col tetto massimo di 20 studenti (a beneficio della didattica); ordine nel caos di “chiamate dirette”, supplenze infinite, classi accorpate. Eccetera.

Mi fermo qui. L’elenco sarebbe lungo, basta tuttavia per dirle, ministro, che il tempo della retorica è finito. Il mondo della scuola attende fatti. Se c’è batta un colpo.

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