Un pasticcio normativo rischia di complicare le cose per medici e infermieri in pensione scesi in campo dall’inizio della pandemia (nonostante i rischi legati all’età) per aiutare i colleghi più giovani ad affrontare l’onda del coronavirus. L’allarme, partito da una segnalazione su La Nuova Ferrara, riguarda un emendamento della Lega al decreto Covid del 14 gennaio, convertito in legge a metà marzo. Prevede che “le aziende sanitarie e socio-sanitarie” possano attribuire incarichi con scadenza “non oltre il 31 dicembre 2022” al personale sanitario che ha conseguito la pensione di vecchiaia. Ma a una condizione: a chi viene riassunto “non è erogato il trattamento previdenziale per le mensilità per cui l’incarico è retribuito”. In sostanza gli viene congelato l’assegno. Secondo i sindacati, la norma rischia di scoraggiare chi vorrebbe dare una mano: “Oltre un migliaio di medici hanno già dato disponibilità a fare da vaccinatori, ma se ci si deve impelagare in questioni burocratiche, pratiche previdenziali e sottoscrizioni di reimpiego, diventa tutto più problematico e c’è il rischio di rinunce“, spiega a Ilfattoquotidiano.it Carlo Palermo, segretario dell’Anaao Assomed. “Eppure se si vuole davvero raggiungere il target di 500mila iniezioni al giorno per uscire dalla pandemia, serve il contributo di tutti“.

Il paradosso è che una norma per richiamare in servizio il personale sanitario c’era già. Nel marzo 2020, infatti, il governo Conte aveva deciso di coinvolgere i pensionati con il decreto Cura Italia. Che permetteva alle Regioni di assegnare “incarichi” di lavoro autonomo o co.co.co. per “massimo sei mesi” a “dirigenti medici, veterinari e sanitari nonché al personale del ruolo sanitario del comparto sanità, collocati in quiescenza, anche ove non iscritti al competente albo professionale in conseguenza del collocamento a riposo”. Il tutto in deroga “all’incumulabilità tra redditi da lavoro autonomo e trattamento pensionistico” previsti dalla legge sui pensionati con quota 100. Questo schema era stato confermato per tutto il 2021 dalla legge di bilancio (art 1, comma 423), ma poi il Carroccio ha sparigliato le carte. L’emendamento ora al centro delle polemiche – che introduce deroghe per incarichi dirigenziali, di studio e di consulenza – è stato presentato in commissione Affari costituzionali del Senato a febbraio. Il primo firmatario, stando a quanto risulta al Fatto.it, è il senatore Roberto Calderoli, affiancato dai colleghi Luigi Augussori, Ugo Grassi, Daisy Pirovano e Alessandra Riccardi. L’Ufficio Studi del Parlamento aveva “ricordato” ai senatori che “nella disciplina fino ad ora vigente, la remunerazione di alcuni incarichi” da parte delle aziende sanitarie a medici in pensione è già prevista fino a fine 2021, ma alla fine il governo Draghi ha dato l’ok e la norma è passata a larga maggioranza.

La confusione creata dalle due misure, avverte Palermo dell’Anaao Assomed, rischia ora di fare da deterrente per chi aveva intenzione di fare la sua parte nella lotta al Covid. “Una norma per coinvolgere i medici in pensione c’era già e non aveva creato problemi. Durante la prima ondata c’è anche chi ha perso la vita perché è tornato in ospedale e si è contagiato in corsia”. A distanza di un anno l’allarme riguarda ancora le terapie intensive, in affanno in quasi tutta Italia, “ma anche le vaccinazioni. Siamo in un’emergenza vaccinale“, spiega il segretario del sindacato. Qual è la soluzione? “Si potrebbe fare come per gli specializzandi, che mantengono la borsa di studio e in più gli vengono retribuite a 40 euro l’ora le eventuali ore aggiuntive impiegate per l’emergenza, dai reparti alle somministrazioni”. L’auspicio, quindi, è che il governo corregga la norma e non crei ostacoli per allargare la platea di vaccinatori. “Tutte le forze in campo – conclude Palermo – dovrebbero essere sfruttate per raggiungere l’obiettivo”. La pensa così anche Francesco Ripa di Meana, Presidente della Federazione delle Aziende sanitarie e ospedaliere, che in una nota citata dal Messaggero ha chiesto all’esecutivo di fare un passo indietro: “La norma – si legge – porterà i sanitari che si sono resi disponibili a prestare la loro collaborazione nel contrasto alla epidemia da Covid-19 a rinunciare agli incarichi”.

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