Era il 5 novembre quando, a reti unificate, il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci apparve per minacciare fuoco e fiamme contro il governo nazionale, reo di aver innalzato il livello di allerta Covid in Sicilia. Paonazzo e furioso Musumeci sembrava sposare la tesi del complotto antisiciliano, un classico delle classi dirigenti dell’isola.

Il governo Conte – la tesi di Musumeci – si era schierato contro la Sicilia costringendo alla chiusura pub, ristoranti, bar. E questo senza evidenze dei dati. E giù tutto il repertorio, abbastanza trito, di una Sicilia penalizzata senza colpe. E ancora – probabilmente il vero obiettivo della campagna alimentata in quei giorni – il tentativo di riversare sul governo nazionale la responsabilità di chiusure e di nuovi sacrifici per la già fragile economia siciliana. Insomma la colpa, come sempre, è da ricercare fuori dalla Sicilia. Il governo nazionale, i cattivi giornali del nord, i crudeli intellettuali sempre pronti a criticare.

Una manovra che, a leggere le carte e le notizie delle ultime ore, appare adesso chiara in tutta la sua spregiudicatezza. E pericolo. Proprio 24 ore prima di quella sfuriata a rete unificate del presidente Musumeci, scopriamo, negli uffici dell’assessorato alla Sanità andava in scena un orrendo gioco di prestigio sui dati dei contagi e dei decessi. Il tutto per rassicurare, calmare e – soprattutto – fingere che “tutto va bene madama la marchesa”. In Sicilia era la narrazione governativa di quei giorni: i dati sono buoni e la situazione sotto controllo. La stessa narrazione che è stata messa in campo mentre si scoprivano che i reparti Covid erano esistenti solo sulla carta, che gli interventi di riconversione dei reparti erano ben lungi dall’essere completati.

A Marsala, Acireale, Petralia lavori che erano stati annunciati come praticamente conclusi erano – e a quanto pare sono – ancora in alto mare. Esemplare la vicenda di Marsala, una struttura da riconvertire in Covid hospital già durante la prima ondata pandemica. Qui, dicevamo, durante la scorsa primavera viene individuato come utile procedere alla riconversione del vecchio ospedale, nonostante gli allarmi lanciati dagli amministratori locali che ben conoscevano la difficoltà di tale operazione. Ovviamente dopo qualche mese anche l’assessorato scopriva che costi e tempi della riconversione erano incompatibili con l’emergenza. Ed allora, con ritardo, si provò a correre per ampliare la struttura dell’ospedale esistente. Con tanto di inaugurazione di un cantiere. Mai partito.

Questo è il quadro, desolante, che si vuole nascondere. Fatto da un’estate sprecata rincorrendo Guido Bertolaso come “superconsulente” per il turismo sicuro e senza avviare nessuna vera misura per arginare una seconda ondata che, tutti, davano per certa. Ma che il governo regionale pensava, forse, di evitare con qualche strano rito di magia occulta. Quanto avvenuto dopo è frutto di quei mesi sprecati, di reparti non attrezzati, di interventi non fatti – addirittura per un periodo, proprio al momento dell’avvio della seconda ondata, scomparve anche il limite per i passeggeri sui bus e trasporto pubblico – e di preoccupante sottovalutazione. A cui si è provato a rispondere con una spregiudicata manovra sui dati.

E siamo alle ultime ore e alla stretta attualità. Che non riguarda i possibili profili penali. Quelli – in questa vicenda – sono gli aspetti meno interessanti. Riguarda un uso spregiudicato del proprio potere. Riguarda – dovrebbe essere il tema centrale – l’aspetto di una classe dirigente che si è rivelata inadeguata alla gestione di un evento di portata epocale e che si è rifugiata nell’inganno e in una edizione – siamo certi che il presidente Musumeci, appassionato della Storia del Ventennio, apprezzerà il paragone – riveduta della barzelletta dei carri armati di Mussolini.

I numeri (sgonfiati, spalmati, nascosti) sono diventati uno strumento per rimpallare responsabilità, per nascondere criticità e per non dover rispondere alle richieste di sostegno e aiuto che venivano dalla società siciliana. Buttare la palla in tribuna e addossare le colpe sempre ad altri. Uno sport in cui in Sicilia si eccelle. A costo di rimandare misure – magari drastiche – che avrebbero impedito qualche contagio. In un quadro in cui l’intera struttura sanitaria pare completamente asservita alle esigenze politiche.

Ed è l’altro aspetto inquietante di questa bruttissima vicenda. L’autonomia, che è anche garanzia, delle strutture burocratiche della Regione. Asservite agli interessi della politica – esattamente nello schema della nota vicenda che vede protagonista Antonello Montante – e ridotte a passacarte o a semplici esecutori di volontà altrui. Mentre il presidente della Regione non vedeva e non sapeva. Il che aggrava, e di molto, la propria parte di responsabilità. Il tutto per non dover mai ammettere l’esistenza, manifesta, dei limiti nella gestione della pandemia.

Alla fine, ancora una volta, quello che sembra trasparire è una Sicilia non vittima di oscure trame ordite oltre lo Stretto. Ma solo della sua incapacità di scegliere classi dirigenti e governi all’altezza delle sfide. Ma, si sa, anche di questo saremo bravi a trovare responsabilità oltre lo Stretto di Messina.

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