Il 10 aprile si commemorerà il trentennale della strage del Moby Prince e il Parlamento non ha ancora elaborato un testo unico per una nuova inchiesta parlamentare (dopo quella del Senato nella scorsa legislatura) che faccia da sintesi delle quattro proposte presentate dai gruppi Pd, Lega, M5s e gruppo misto nel dicembre scorso. Il punto politico di maggiore distanza tra le proposte è solo uno: commissione monocamerale – richiesta da Pd e Lega – o bicamerale, indicata invece da M5s e Misto? La differenza è la durata. Un organismo monocamerale dovrebbe infatti concludere i lavori in corrispondenza con la fine della legislatura, quindi nella migliore delle ipotesi – tra iter di approvazione, nomina dei commissari e audizioni – resterebbe attiva per 12 mesi. Viceversa la soluzione bicamerale caldeggiata anche dai familiari delle vittime potrebbe superare questo vincolo e restare operativa anche dopo lo scioglimento delle Camere e sarebbe utile ad ottenere (o almeno cercare) tutte le risposte rimanenti sul caso: il ruolo dei traffici illegali d’armi e delle navi militarizzate Usa sulla scena dell’incidente, la natura dei depistaggi di Stato e dell’accordo firmato da due aziende pubbliche, Snam ed Eni, con l’assicuratore delle Bermuda che ha negato ad oggi ogni collaborazione con le autorità italiane per l’accertamento della verità sulla strage.

Davanti all’attuale impasse i rappresentanti delle associazioni familiari delle vittime Luchino Chessa e Nicola Rosetti – quest’ultimo rappresenta la “140” perché lo storico leader Loris Rispoli è in riabilitazione dopo un problema di salute – hanno scritto ai presidenti di Camera e Senato Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati e ai capigruppo parlamentari, chiedendo “maggiori certezze sull’impegno nell’accertare la verità su questa vicenda che segna le nostre vite da trenta lunghi anni”. Serve “un testo unico delle quattro proposte per ottenere una bicamerale da costituire quanto prima – hanno precisato Chessa e Rosetti – perché chi alterò a suo tempo le carte e lavorò per una verità di comodo, sicuramente continua indisturbato nel tentativo di modificare la verità”. Quella verità accertata dall’ultima inchiesta parlamentare del Senato cui il 2 novembre 2020 il tribunale civile di Firenze ha negato legittimità giuridica, respingendo la richiesta dei familiari delle vittime di poter ottenere un risarcimento dallo Stato italiano – tramite i ministeri dei Trasporti e della Difesa – per il mancato soccorso dei 140 tra passeggeri e membri dell’equipaggio, morti dopo ore di agonia seguite alla collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, per un soccorso pubblico mai a loro rivolto dalle autorità statali preposte.

Le quattro proposte d’inchiesta parlamentare nate proprio dalla reazione alla sentenza del tribunale civile di Firenze e dalla necessità di approfondire la ricostruzione storica della vicenda avviata con l’inchiesta parlamentare 2015-2018, sono però in attesa di diventare una sola. Dal 16 marzo il testo della proposta della Lega, a prima firma Manfredi Potenti, giace in commissione Trasporti, quello del Partito Democratico è ancora da assegnare, mentre al Senato entrambe le proposte – a prima firma Mario Michele Giarrusso (Misto) e Gianluca Ferrara (M5S) – sono dal 4 marzo all’attenzione della commissione Lavori Pubblici. Sulla carta i numeri ci sono, ma una fonte parlamentare spiega a ilfattoquotidiano.it che è mancata ad oggi la volontà politica di accelerare l’iter. Di qui la lettera delle associazioni familiari delle vittime, che hanno scritto anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, chiedendo di ricordare come questa sia la più grande strage della storia repubblicana, ad oggi impunita, nella speranza di un suo intervento in videochiamata durante le commemorazioni istituzionali previste anche quest’anno online, a Livorno. Sarebbe il primo presidente a farlo, in trent’anni.

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