Chi comandò i soccorsi la notte tra il 10 e l’11 aprile 1991 dopo lo scontro tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno? Fu davvero solo Sergio Albanese, il comandante della Capitaneria di porto della città toscana, com’è sempre stato dato per certo finora? Anzi, come lui stesso ha sempre detto, fino all’ultima sua testimonianza nella commissione d’inchiesta al Senato: lì, infatti, precisò di aver gestito in via esclusiva il comando delle operazioni dalle 23.08 del 10 aprile – peraltro non pronunciando alcun ordine per l’intera notte – lasciando così intendere che mai i suoi superiori, cioè gli ufficiali della Marina militare a capo del Dipartimento “Alto Tirreno” di La Spezia, lo esautorarono, come peraltro disposto dalla legge vigente in caso di necessità. Un documento mette tuttavia in discussione questa ricostruzione e ridefinisce il quadro delle responsabilità sui soccorsi alle vittime e sulla strage delle 140 vittime, membri dell’equipaggio e passeggeri a bordo del traghetto diretto ad Olbia.

Questo atto è rimasto “sepolto” anche se non avrebbe dovuto essere del tutto sconosciuto: è riemerso ora dagli archivi dell’associazione dei familiari delle vittime “140” e non era presente tra quelli che la commissione d’inchiesta acquisì dal tribunale di Livorno. E ora rimette in discussione la responsabilità esclusiva della Capitaneria di Porto, proprio mentre la Procura di Livorno e la Dda di Firenze proseguono l’inchiesta, la terza, sulla pista degli unici reati ad oggi non prescritti: strage e omicidio plurimo aggravato. Il documento è datato 1994 ed è firmato da un generale dell’Aeronautica: entra tra gli atti giudiziari come arma processuale di uno degli imputati del primo processo (l’ufficiale della Capitaneria Lorenzo Checcacci) accusato di non aver coinvolto un elicottero nelle operazioni di ricerca del traghetto in fiamme. E all’epoca il generale Giulio Mainini, a capo della 1a Regione Aerea, uno degli alti comandi dell’Aeronautica Militare per l’Italia Settentrionale, in quel documento scrive due cose che ribaltano le ricostruzioni fatte finora. Primo: il coordinamento dei soccorsi già dopo meno di due ore dalla collisione tra Moby e Agip era in capo alla Marina Militare, come d’altra parte doveva essere per legge; secondo: alla Capitaneria di Livorno furono offerti elicotteri per le operazioni di ricerca e soccorso, ma sostanzialmente furono rifiutati. Dalla Capitaneria infatti, secondo il generale Mainini, risposero che “i naufraghi erano morti” e che “la Marina stava provvedendo“.

Sono due elementi centrali nella vicenda della strage del Moby Prince. Dalla pubblicazione della relazione finale della Commissione parlamentare d’inchiesta, tre anni fa, la magistratura ha infatti iniziato a considerare che, dopo l’avvio dell’incendio a bordo del traghetto, almeno una parte delle 140 vittime sopravvisse a bordo per un tempo compatibile con un intervento di soccorso dell’autorità pubblica, mai ordinato quella notte. Finora l’allora comandante della Capitaneria Sergio Albanese ha sempre raccontato di essere l’unico responsabile del comando delle operazioni, dal suo arrivo, tardivo, sulla scena, e la sua posizione fu archiviata nonostante fu acclarato che non dette un solo ordine nel corso dell’intera notte in forza del fatto, dice la sentenza di primo grado, che tutti a bordo erano già morti. Albanese lo ha ribadito alla stessa Commissione d’inchiesta il 7 giugno 2016, lasciando così intendere che il suo superiore, ovvero il comandante del Dipartimento Marittimo “Alto Tirreno” Maridipart La Spezia, non lo esautorò mai la notte della strage avocando a sé la direzione delle operazioni, benché la legge vigente lo imponesse davanti all’evidenza che a Livorno chi doveva coordinare il soccorso stava evitando di farlo.

A porre in discussione la responsabilità esclusiva di Albanese, dunque, è il documento firmato dal generale Giulio Mainini, il 24 maggio 1994. A portarlo dentro il primo processo, davanti al gip Roberto Urgese, è appunto il legale dell’ufficiale Lorenzo Checcacci che cercava informazioni per discolpare il suo assistito. Il generale inizia col segnalare l’esistenza di tre elicotteri disponibili all’azione H24 per un soccorso notturno come quello necessario a passeggeri ed equipaggio del Moby Prince con possibilità di decollo da Milano Linate, da Ciampino e da Istrana, in provincia di Treviso. Tutti e tre, continua Mainini, sarebbero stati operativi la notte della strage e capaci di raggiungere la rada di Livorno in un tempo tra i 90 e i 130 minuti dalla richiesta di assistenza. Che però non arrivò mai.

Ma non solo. Il generale dell’Aeronautica annota anche la cronologia – registrata sul “Quaderno di stazione” – dalla mezzanotte dell’11 aprile, cioè meno di due ore dopo la collisione tra Moby Prince e Agip Abruzzo (avvenuta alle 22.25). “Il R.C.C. (cioè il coordinamento centrale di ricerca e soccorso di Roma, ndr) fu informato alle 00:10 dal Nucleo Elicotteri dei Vigili del Fuoco di Genova circa una probabile collisione fra due petroliere a largo di Genova, non aveva notizie dei dispersi; alle 00:17 l’operatore del R.C.C. chiedeva notizia a Compamare Livorno (la Capitaneria, ndr) che comunicava lo scontro fra una nave passeggeri ed una petroliera. Veniva inoltre comunicato che da quello che si sapeva i naufraghi erano morti, nella zona c’era nebbia e che la Marina stava provvedendo“.

Una comunicazione che fa a pugni con i fatti: mezz’ora prima era stato recuperato l’unico superstite della strage, il mozzo del Moby Prince Alessio Bertrand, capace di gettarsi in mare da circa 7 metri e di raggiungere con qualche bracciata una barca di ormeggiatori, senza ustioni né intossicazioni. Eppure all’Aeronautica pronta a fornire elicotteri per il soccorso, chi doveva coordinare le operazioni risponde che “i naufraghi erano morti” e che “la Marina stava provvedendo“.

Questa seconda frase, in particolare, dovrebbe significare che il coordinamento del soccorso, con sicurezza alle 00.17 dell’11 aprile ma presumibilmente prima, era della Marina Militare italiana e non già più del comandante della Capitaneria Albanese. E quindi la stessa Marina aveva già reputato come morte le centoquaranta persone imbarcate sul traghetto, a circa un’ora e quaranta minuti dalla collisione, benché avessero appena salvato un naufrago vivo, capace di nuotare, parlare e invitare i soccorritori (urlando platealmente sulla banchina davanti a una giungla di telecamere dei tg) a soccorrere le altre persone rimaste a bordo.

Il comando del soccorso da parte della Marina militare la notte della strage, mai indagato dalla Procura di Livorno perché finora rimasto sempre ufficialmente assente nell’area del disastro e nell’intera storia del Moby, è indicato in modo ancora più esplicito in un successivo passaggio del documento firmato dal generale Mainini, quando riporta alle 6.06 dell’11 aprile la disponibilità all’intervento del “Nucleo Elicotteri dell’esercito italiano di Pisa” che “comunicava con “la Marina che stava coordinando“.

Per la prima volta dopo trent’anni emerge quindi un documento, già nella disponibilità del tribunale di Livorno – e quindi della Procura – dal 1994, che chiama in causa la Marina. In questo caso è rappresentata dal comando del Dipartimento marittimo di La Spezia all’epoca dei fatti sotto la guida dell’ammiraglio Franco Papili. Papili non fu mai chiamato a testimoniare nelle due inchieste sul Moby Prince, l’ultima delle quali avviata nel 2006 e terminata con l’archiviazione nel 2010. Allora avrebbe potuto offrire il suo racconto diretto. Oggi non è più possibile perché l’ammiraglio è morto nell’agosto 2009.

Altri eventuali riscontri di quanto scritto nel rapporto del generale Mainini potrebbero tuttavia essere ancora reperibili nei registri di Maridipart La Spezia, il nome in gergo del Dipartimento della Marina dell’Alto Tirreno: i registri non sono mai stati analizzati. Il momento esatto dell’assunzione del comando potrebbe infatti ridefinire le responsabilità del mancato soccorso.

Prima del 6 giugno 1994, data di consegna al Tribunale di Livorno del fascicolo con questo rapporto dello Stato Maggiore dell’Aeronautica, il Comando operativo diretto dal generale Mainini aveva già trasmesso il documento oggi riemerso, ad altre autorità. Il 25 luglio 1991 lo recapitò alla Capitaneria di Porto di Livorno – che purtroppo aveva già concluso la sua inchiesta sommaria sull’incidente, autoscagionandosi – e proprio a Maridipart La Spezia. Entrambe tuttavia mancarono di trasmetterlo alla Procura di Livorno e alla Commissione ministeriale d’inchiesta che mai citò la Marina Militare come responsabile del mancato soccorso alle centoquaranta vittime del Moby Prince.

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