Quel che colpisce seguendo la politica è il senso di angosciosa ineluttabilità che traspare a noi profani dalle decisioni del Partito democratico. Le dimissioni di Zingaretti hanno riacceso questo senso di tragico destinale, l’idea che non ci sia alcun rimedio, alcun riparo, che si sia in balia di una corrente che sballotta e alla quale non si può far altro che consegnarsi. Quest’idea sacrificale della politica è emersa proprio quandoZingaretti, in modo troppo rapido rispetto agli eventi, ha lasciato la guida del partito che in fondo non aveva tenuto con risultati spregevoli: dall’oggi al domani, in fondo dopo un evento (la nomina di Mario Draghi) che non aveva minato in modo irreparabile la sua dirigenza. Inevitabile, ecco cosa è sembrato.

Ma allora, a volersi un po’ smaliziare, occorre pensare che in fondo gli arcana imperii noi non li conosciamo, non sappiamo cosa sia successo nelle segrete stanze per provocare un evento che agli occhi puri sembra un fulmine a ciel sereno. Zingaretti è del tutto estraneo alle manovre per quella che sembra una sua dolorosa defenestrazione e invece magari è una mossa meditata e calcolata nei suoi effetti?

Rispetto a tutto questo, anche la segreteria incipiente dell’ex premier e poi dean a Parigi Enrico Letta ha questo sentore di ineluttabile. Credo che un senso di impotenza infatti attanagli tutti coloro che in un barlume di pazzia hanno pensato “se cambiano davvero, se mettono un giovane, quasi quasi mi iscrivo al PD!”. E invece no, niente novità, anche perché il Partito democratico più che divorare i figli non li fa proprio nascere. E allora o si aspetta la sfrontatezza di un Renzi che si prende ciò che vuole (con gli effetti disastrosi che sappiamo), oppure si torna sempre sulla scena del delitto. Non nascono figli, cioè non c’è una classe dirigente giovane, con idee nuove, o semplicemente con idee. Non ci si stupisca poi se sulla cresta dell’onda stanno coloro che hanno una visione del mondo purchessia.

Letta, dicono, è persona perbene. Nella Toscana da cui Letta viene dicono “fallo anche mordere”. Se questo è lo standard per un segretario di partito, allora quel senso di impotenza diventa un nodo sempre più asfissiante. Il punto peraltro non è Letta in quanto persona, ma per ciò che rappresenta. Non è una questione individuale, per quanto ormai sia inevitabile in tutti i partiti fare i conti con una dose di leaderismo carismatico (che sembra però essere ben distante dalle corde del compassato ex enfant prodige in politica da una vita e mezza).

Il punto è: cos’è Enrico Letta oggi per il PD? E come agirà sui dossier caldi per il partito? Il dossier par excellence è la questione dell’atteggiamento da tenere nei confronti dei 5Stelle. Sappiamo che Letta tuona da sempre contro quello che sbrigativamente viene definito ‘populismo’, dunque i 5S sono un (ex?) avversario con cui fare i conti.

Basterà la normalizzazione a Cinque Stelle per convincere Letta a proseguire sulla linea zingarettiana di un’alleanza strategica coi grillini? E se così non fosse, di grazia, nel campo del centro-sinistra con chi ci si potrebbe alleare, rebus sic stantibus (e posto che la politica ormai è volatile e dunque oggi è così, domani chissà)?

Perché se non si dà risposta a questa domanda, allora si finisce nelle secche renziane del rifiuto dei 5S a prescindere, senza però dire con chi alle prossime politiche bisognerebbe allearsi. Una doccia fredda sarebbe, a mio avviso, rinverdire l’idea di un parlamentarismo ‘puro’ in cui tutto si decide nelle Camere e solo dopo le elezioni. Ma i balletti tra proporzionale e maggioritario non fanno ben sperare in una soluzione chiara di una questione così annosa. Su questo, per esempio, Letta dovrebbe dirci la sua.

Su Draghi invece non si hanno dubbi: Letta è uomo iper-istituzionale, il suo appoggio sarà incondizionato. Certo è difficile dimenticare che Letta fece un governo con Berlusconi, che nominò una strana commissione per le riforme costituzionali con la regia di quel presidente Napolitano che in realtà governava dal Quirinale facendoci fare un salto nella Terza Repubblica. Riforme che avrebbero dovuto bypassare – horribile dictu – le procedure del 138 Cost. In fondo, Letta era pienamente dentro l’onda lunga della lettera di Trichet e Draghi, del governo Monti, della presidenza esorbitante di Napolitano. Ora arriva al Nazareno con al governo l’estensore di quella lettera: siamo al compimento di un disegno iniziato dieci anni fa?

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