Un colpo dopo l’altro l’effetto domino della crisi di governo voluta da Matteo Renzi un mese e mezzo fa sta dando i suoi frutti. Caduto Giuseppe Conte, bombardata l’alleanza tra centrosinistra e M5s, ora è la volta di Nicola Zingaretti. Il segretario del Partito democratico ha annunciato le sue dimissioni, a tre anni esatti dalle elezioni politiche (che certificarono lo stato di crisi del partito principale del centrosinistra dopo la gestione di Renzi) e a due dalla vittoria nel congresso. Il leader democratico ha comunicato la decisione del passo indietro con una nota carica di accuse nei confronti del suo partito. Ha parlato di “stillicidio“, di “guerriglia“, di “bersaglio” (lui) e soprattutto di “vergogna“, la sua, per vedere il Pd impegnato a parlare “di poltrone” mentre “in Italia sta esplodendo la terza ondata del Covid, c’è il problema del lavoro, degli investimenti e la necessità di ricostruire una speranza soprattutto per le nuove generazioni”. Il riferimento alla “guerriglia” è ai molti fronti aperti dentro il Pd nelle ultime settimane: dalle critiche per la lealtà a Giuseppe Conte – con cui Zingaretti si è sentito al telefono in serata – alle accuse di “sudditanza” nei confronti del M5s per il fatto di sostenere la creazione di uno schieramento che sappia confrontarsi con il centrodestra, fino al caos sulla mancanza di donne nella delegazione Pd nel governo Draghi.

E così, tira le fila Zingaretti, “visto che il bersaglio sono io, per amore dell’Italia e del partito, non mi resta che fare l’ennesimo atto per sbloccare la situazione. Ora tutti dovranno assumersi le proprie responsabilità“. Gli esponenti di quasi tutte le correnti del partito hanno chiesto al segretario di ripensarci, da Dario Franceschini a Lorenzo Guerini, passando per Maurizio Martina e Francesco Boccia. “E’ comprensibile l’amarezza” di Zingaretti, ha detto in una dichiarazione alle tv il vicesegretario Andrea Orlando: “Credo che la sua scelta implichi e richieda uno scatto e una risposta unitaria, e unitariamente bisogna chiedergli di ripensare la sua decisione. Il Pd ha bisogno di un punto di riferimento per affrontare le sfide e le battaglie che ci sono. Credo che dovremo fare tutti il possibile perché ci ripensi”.

E non è un caso che le reazioni di vicinanza a Zingaretti, dall’altra parte, siano arrivate da tutto lo stato maggiore dei Cinquestelle: Vito Crimi, Luigi Di Maio e soprattutto l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Le dimissioni di Zingaretti “non mi lasciano indifferente – scrive – Seguo con rispetto e non intendo commentare le dinamiche di vita interna del Pd. Ma rimango dispiaciuto per questa decisione, evidentemente sofferta. Non avevo avuto occasione, prima della formazione del governo precedente, di conoscerlo. Successivamente, ho avuto la possibilità di confrontarmi con lui molto spesso, in particolare dopo la pandemia. Ho così conosciuto e apprezzato un leader solido e leale, che è riuscito a condividere, anche nei passaggi più critici, la visione del bene superiore della collettività“. Goffredo Bettini, che è stato a lungo il teorico di quell’alleanza di un “nuovo centrosinistra”, su facebook scrive così: “La decisione di Nicola Zingaretti mi addolora. Ne comprendo le ragioni. Spero ci sia lo spazio per un ripensamento. Il Partito Democratico ha bisogno della sua onestà, passione e intelligenza politica“.

Il “parlamentino” del partito è stato convocato dallo stesso Zingaretti per il 13 e 14 marzo: in quell’occasione i delegati dovranno decidere se eleggere un nuovo segretario o convocare il congresso. In caso si optasse per le primarie la gestione ordinaria del partito è affidata alla presidente, che è Valentina Cuppi. Resta capire se il passo indietro del segretario sia propedeutico a una nuova candidatura alla segreteria che ne rafforzi la leadership, limitando il peso dell’opposizione interna. Ma nel frattempo il partito sembra essere spiazzato, per non dire sotto shock.

“Pd impantanato in una guerriglia”
Nel suo post Zingaretti ricorda i risultati di due anni di segreteria. “Abbiamo salvato il Pd e ora ce l’ho messa tutta per spingere il gruppo dirigente verso una fase nuova. Ho chiesto franchezza, collaborazione e solidarietà per fare subito un congresso politico sull’Italia, le nostre idee, la nostra visione. Dovremmo discutere di come sostenere il Governo Draghi, una sfida positiva che la buona politica deve cogliere. Non è bastato. Anzi, mi ha colpito invece il rilancio di attacchi anche di chi in questi due anni ha condiviso tutte le scelte fondamentali che abbiamo compiuto. Non ci si ascolta più e si fanno le caricature delle posizioni”, è lo sfogo del segretario dimissionario. “Il Pd non può rimanere fermo, impantanato per mesi a causa in una guerriglia quotidiana. Questo, sì, ucciderebbe il Pd“, dice il presidente del Lazio, rivendicando di aver “fatto la mia parte, spero che ora il Pd torni a parlare dei problemi del Paese e a impegnarsi per risolverli”.

Lo strike di Renzi
La notizia delle dimissioni arriva di due mesi molto difficili per la leadership di Zingaretti. Due mesi iniziati con la manovra di Matteo Renzi per far cadere il governo Conte 2 che, in controluce, aveva l’obiettivo neanche troppo nascosto di minare l’alleanza del Pd con il M5s e con Leu per uno schieramento che potesse avere chance di competitività nel confronto con il centrodestra. La manovra di Renzi ha fatto cadere prima il governo, ha estromesso Conte dalla scena politica e ha finito per infragilire fino a tramortire l’intero centrosinistra, “costretto” di nuovo a portare acqua a un governo di larghe intese (questa volta larghissime). Così il Pd settimana dopo settimana ha perso consensi nei sondaggi, mentre Liberi e Uguali – già piccola e precaria – si è divisa in due, poi in tre, poi in quattro. Il colpo di Renzi ha provocato un effetto domino che, oltre ad aver riportato la Lega e Forza Italia al governo, ha praticamente tagliato le gambe all’alleanza di centrosinistra.

E così poi all’interno del Pd, dopo le vicende del governo, quasi come da programma, è partita la escalation di attacchi provenienti dall’area del partito dei riformisti, in qualche caso sospettata di essere ancora legata, almeno nel modo di vedere le cose, all’ex leader uscito per farsi il mini-partito. Una è l’accusa principale contestata a Zingaretti: aver voluto continuare a interloquire con il M5s e Leu, cioè i partiti che insieme al Pd sostenevano il governo di Giuseppe Conte, anche dopo la caduta del precedente esecutivo. Solo ieri, tra l’altro, Zingaretti aveva benedetto il via libera all’entrata del M5s nella maggioranza che sostiene la sua giunta in Regione Lazio. Anche l’aver appoggiato l’ex presidente del consiglio, indicato come leader della coalizione giallorossa, è costata a Zingaretti molti attacchi interni. Soprattutto dopo che Conte ha accettato la proposta di Beppe Grillo di rilanciare il Movimento 5 stelle, subito schizzato nei sondaggi, grazie soprattutto al corposo drenaggio di voti operato proprio ai danni del Pd. Zingaretti è stato messo sotto accusa anche sul fronte della parità di genere per la carenza di donne nella compagine dem chiamata a far parte del governo Draghi. Proprio per questo motivo il massimo dirigente dem aveva lanciato un’agenda di 10 punti alla direzione di partito per rilanciare “la centralità delle donne”. Rifiuto l’accusa di guidare un gruppo dirigente non attento o insensibile al tema di genere”, aveva detto solo una settimana fa. Gli attacchi però sono continuati: e Zingaretti si è dimesso.

Il partito sotto choc: “Non sapevamo nulla, ci ripensi”. Il tweet “rigido” di Franceschini
La decisione di Zingaretti ha sorpreso il partito per non dire che lo ha lasciato quasi sotto shock. Tutti dicono di essere stati all’oscuro, fino alla nota su facebook, delle intenzioni del segretario. Il capodelegazione nel governo Dario Franceschini che rilancia, senza particolare trasporto, l’appello alla responsabilità. A parole praticamente gli esponenti di tutte le correnti interne al partito dicono a Zingaretti di ripensarci. Bisognerà vedere se questo orientamento resisterà per 10 giorni, fino all’assemblea. Nel Pd non si può mai dire.

Le parole di Franceschini, a dire il vero, sembrano nascondere una certa rigidità. Anche per il fatto che Zingaretti ha nascosto a tutti le sue intenzioni fino all’ultimo a tutti tranne (a quanto risulta) che a Bettini. Una linea che non è stata proprio gradita dal ministro della Cultura, descritto come “furibondo” da fonti interne al partito.

Per il resto è un coro unito di appelli a ripensarci. “Spero di poterlo incontrare e di parlarci, io non sapevo niente”, dice Luigi Zanda arrivando al Nazareno. Graziano Delrio, capogruppo alla Camera, chiede a Zingaretti di restare. “In un momento così grave e difficile per il Paese il Pd ha bisogno che Nicola, che ha sempre ascoltato tutti, rimanga alla guida del partito. Il dibattito interno è fisiologico e non deve essere esasperato. Ritroviamo insieme la strada“. La pensa allo stesso modo il deputato ed ex ministro Francesco Boccia: “Nel momento più drammatico della storia recente del Paese e nel momento più difficile della storia del Partito democratico, Nicola Zingaretti è stato un faro sia per il governo che per il Pd. Credo che nessuno possa mettere in dubbio fatti oggettivi, oltre alla sua serietà e alla sua lealtà verso la comunità dem. E penso che l’Assemblea nazionale abbia una sola strada: chiedergli di restare segretario del Pd che, grazie alla sua guida, è uscito da uno dei periodi più bui della sua storia”. Un altro ex ministro, Peppe Provenzano, insiste nel chiedere all’assemblea di respingere le dimissioni: “Ci ripensino anche quelli che, in queste ore, hanno logorato il Pd. Siamo in gran tempesta, serve un nocchiero e un equipaggio. Anche per discutere, insieme, di come cambiare a fondo”. La notizia delle dimissioni ha colto di sorpresa pure l’ex premier Enrico Letta. “Sono rimasto colpito, un attimo perplesso da quanto sta accadendo”, ha detto. Il sindaco di Bologna, Virginio Merola chiede le primarie”.

Fassina: “Era l’ultimo ostacolo alla normalizzazione”
La lettura di un ex dirigente del Pd, il deputato di Leu Stefano Fassina, è questa: “Dopo aver fatto fuori Giuseppe Conte rimaneva l’ostacolo Nicola Zingaretti al programma di normalizzazione dell’Italia. Un grande abbraccio a Nicola. Siamo stati sconfitti, ma non siamo vinti. Continuiamo a lavorare all’alleanza progressista con il Movimento 5 Stelle”.

Nel frattempo Zingaretti incassa, caso molto raro, la solidarietà di molti esponenti di partiti concorrenti e avversari. Dal reggente M5s Vito Crimi (“Ha un forte spirito di collaborazione e abnegazione) al ministro degli Esteri Luigi Di Maio (“Ho lavorato con Nicola per mesi. È una persona perbene”). Perfino Matteo Salvini si “dispiace” e spero che queste dimissioni non abbiano effetti sul governo. “Mi ero già fatto l’idea che Nicola Zingaretti fosse una delle poche persone perbene di questa stagione politica. Da pochi minuti ne ho la certezza” twitta il leader della Nuova Dc Gianfranco Rotondi.

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