Conflitto d’interessi, requisiti di indipendenza dei consiglieri, etica e morale negli affari, porte girevoli fra finanza e politica. E senza una legge che faccia chiarezza. Con la designazione dell’ex ministro Pd Pier Carlo Padoan alla presidenza di Unicredit, sono tutti temi tornati d’attualità. Fra le proteste del fondo attivista Bluebell capital partners, socio della banca di piazza Gae Aulenti, che ha contestato la sua indipendenza oltre ad opporsi all’eventuale fusione con il Monte dei Paschi di Siena. La questione morale s’impone come grande problema del Paese nella ricostruzione post pandemia. Il tema è complesso, come spiega Salvatore Bragantini, ex commissario Consob con una lunga esperienza nel mondo della finanza. “Da un lato c’è bisogno di persone esperte e competenti, dall’altro se assieme alla competenza si diventa portatori anche di interessi particolari e non di interessi pubblici generali, allora c’è un problema”.

“Vengo dal mondo della finanza, sono stato commissario Consob e poi tornato alla mia attività”, ricorda Bragantini, “evitando che l’interesse privato subentrasse a quello pubblico nel momento in cui avevo assunto una funzione all’interno del sistema statale. La questione è semplice e riguarda sostanzialmente il profilo etico e morale della persona incaricata e, più in generale, del Paese. E’ necessario non solo evitare di confondere interessi privati e interessi pubblici ma anche un cambiamento di mentalità per cancellare l’idea che un soggetto nominato in un dato incarico debba poi fare l’interesse di chi glielo ha conferito”. La questione, insomma, va ben oltre il profilo strettamente normativo che pure potrebbe essere migliorato, come ammette lo stesso Bragantini.

“La normativa sugli indipendenti lascia un margine di flessibilità ampio sia nel codice di autodisciplina che nel testo unico della finanza dove si guarda più alla sostanza che alla forma dei rapporti con l’azionista maggioritario. La questione degli incarichi politici non è però attualmente contemplata in generale”, spiega Marco Ventoruzzo, docente di diritto commerciale all’Università Bocconi di Milano. Tecnicamente quindi non c’è alcun motivo per cui Padoan non potrebbe assumere la presidenza del gruppo bancario. Va detto però che l’Italia non fa eccezione in Europa. Anzi. “La nostra legge è per alcuni versi più restrittiva di quella anglosassone e più in generale comunitaria – prosegue Ventoruzzo – Basti pensare che per alcuni dirigenti di fascia di Consob e altre autorità si prevede un periodo di stop agli incarichi in società vigilate per un paio di anni. Sulle operazioni con parti correlate, nel momento in cui l’Unione ha definito nuove regole, la Consob ha dovuto fare solo piccoli ritocchi alle sue norme. D’altro canto, il sistema anglosassone è invece efficace sull’enforcement (vigilanza e controllo, ndr) per le risorse date alla vigilanza. Il punto quindi non è tanto inserire nuove regole, ma applicare bene quelle che ci sono”. Anche qui, in Italia e in Europa, non senza qualche difficoltà come testimoniano casi come quello della Parmalat tedesca, Wirecard, che ha messo in subbuglio l’intero sistema teutonico di controllo dei mercati finanziari.

Sullo sfondo resta l’ipotesi di introdurre un cooling period (il cosidetto periodo di raffreddamento, ndr) per gli incarichi agli ex politici. Due o tre anni di pausa prima di assumere mandati che sono potenzialmente in conflitto d’interessi. “Resta il problema di attirare le migliori risorse che magari ci penseranno due volte ad accettare incarichi pubblici in cui potrebbero non solo guadagnare meno, ma anche essere costretti ad uno stop lavorativo di un paio di anni”, nota Bragantini. La questione non è di poco conto nel travaso di competenze dal privato al pubblico. Forse lo è meno in direzione inversa.

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