L’escalation della crisi a Gaza sta per raggiungere uno snodo cruciale, con Israele che si prepara ad attaccare Rafah, ultima roccaforte di Hamas nel sud della Striscia, dove potrebbero essere tenuti prigionieri diversi ostaggi del 7 ottobre e hanno trovato rifugio oltre un milione di palestinesi in fuga. Nelle scorse ore, l’esercito ha ammassato decine di carri armati e veicoli blindati lungo il confine meridionale con Gaza, al valico israeliano di Kerem Shalom, vicino a Rafah, come hanno riferito giornalisti che hanno visto il movimento dei mezzi militari. L’operazione è stata annunciata dopo che l’esercito israeliano, l’Idf, ha confermato di aver completato i preparativi per l’ingresso e che la data dell’operazione dipende solo dall’approvazione del gabinetto di guerra. Questa mossa potrebbe avere un impatto significativo sulla stabilità regionale e sulle prospettive di negoziati futuri.

L’inizio dell’offensiva
I movimento indicano che Israele sta intensificando gli sforzi per prendere il controllo dell’area meridionale di Gaza. La brigata 162, precedentemente posizionata nel nord e nel centro della Striscia, si è ora avvicinata a Rafah, confermando la crescente pressione sulla città. Un alto ufficiale israeliano, uscendo da un lungo gabinetto di guerra, ha confermato l’intenzione di attaccare Rafah: “Siamo diretti a Rafah senza dubbio. Non c’è contraddizione tra questa operazione e un accordo per la restituzione degli ostaggi. Più ci avviciniamo a Rafah, più il coinvolgimento egiziano aumenta, naturalmente”.

Il coinvolgimento egiziano e la preoccupazione per un esodo
La presenza di forze militari israeliane al confine con Rafah ha suscitato preoccupazioni in Egitto, che teme un esodo di sfollati palestinesi nel Sinai, con potenziali rischi per la sicurezza nazionale. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha dichiarato la sua opposizione a qualsiasi migrazione forzata dei civili di Gaza, paventando “conseguenze catastrofiche”. Questo timore ha spinto l’Egitto a proporre un’iniziativa diplomatica per evitare un’ulteriore escalation, con un rappresentante egiziano atteso a Tel Aviv per discutere di un possibile cessate il fuoco.

Le posizioni degli Stati Uniti e di Hamas
Gli Stati Uniti hanno espresso la loro contrarietà all’operazione israeliana, cercando di convincere Israele che esistono “altri modi per colpire Hamas”. Allo stesso tempo, il governo americano ha riunito una coalizione di 18 Paesi, tra cui Francia, Germania e Gran Bretagna, per chiedere il rilascio immediato degli ostaggi a Gaza come condizione per raggiungere un cessate il fuoco. Tuttavia, Hamas continua a fare richieste che Israele trova inaccettabili. Khalil al-Hayya, membro dell’ufficio politico di Hamas, ha avanzato la proposta di una tregua di cinque anni in cambio della creazione di uno Stato palestinese nei confini precedenti al 1967. Israele ha respinto questa proposta, affermando che non ci sarà mai uno Stato palestinese con Hamas al potere.

Israele rifiuta le pressioni esterne
Nonostante le pressioni internazionali e le negoziazioni in corso, Israele sembra determinato a procedere con l’operazione a Rafah. L’Idf sta conducendo nuovi raid aerei sulla parte meridionale di Gaza, con rapporti che indicano morti e feriti tra i civili. L’obiettivo principale di Israele, secondo Tel Aviv, è smantellare l’infrastruttura di Hamas e assicurarsi il rilascio degli ostaggi. Ma la pressione occidentale non si allenta e i media israeliani hanno annunciato che il segretario di Stato americano Antony Blinken dovrebbe tornare in Israele martedì in quella che sarebbe la sua settima missione in Medioriente da quando è iniziata la guerra. Durante la visita Blinken dovrebbe discutere proprio della possibile operazione israeliana di terra a Rafah e dei negoziati per arrivare a un accordo che consenta la liberazione degli ostaggi e di arrivare a un cessate il fuoco nell’enclave palestinese.

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