Mentre l’opinione pubblica segue con crescente apprensione la tragedia umanitaria che si sta consumando lungo la rotta balcanica – dove le contraddizioni delle politiche europee stanno esplodendo in tutta la loro disumanità – oggi ricorre il quarto anniversario della firma del Memorandum tra Italia e Libia per il blocco dei flussi migratori.

Ancora una volta, purtroppo, siamo costretti a denunciare quattro lunghi anni di politiche fallimentari, abusi e torture per migliaia di persone.

Le promesse mancate dal governo sulla tutela dei diritti umani in Libia

Nel novembre 2019, con un intervento alla Camera della ministra dell’Interno Lamorgese, il governo Conte II si era impegnato ad apportare una serie di modifiche all’accordo per garantire il rispetto dei diritti umani in Libia, dopo le forti proteste della società civile chiedevano di non rinnovarlo.

Il 24 giugno 2020 un articolo pubblicato dal Fatto quotidiano titolava: “Il 2 luglio partiranno i negoziati per la modifica del memorandum con la Libia”, riportando la dichiarazione di un soddisfatto ministro Luigi Di Maio. Da allora però non abbiamo saputo più nulla rispetto agli esiti di questo negoziato: ci sono stati altri incontri? È stato deciso qualcosa? Al momento non è dato saperlo. L’unica notizia sul punto è del novembre scorso, ripresa da “Sicurezza Internazionale” il quotidiano della Luiss, che cita una fonte libica: “Italia e Libia hanno raggiunto un accordo in merito alla formazione di un comitato ‘ristretto’, volto a modificare il Memorandum d’Intesa sull’immigrazione”.

A distanza di 15 mesi dall’intervento della ministra Lamorgese, non è chiaro chi debba assumersi il compito di trovare un accordo sulla revisione del Memorandum e quale sia l’iter da adottare. Dal 2017, 540 milioni spesi ma oltre 6.500 vittime lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Eppure, dal 2017 a oggi – secondo i dati dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) – quasi 6.500 persone sono morte nel tentativo di raggiungere l’Europa lungo la rotta del Mediterraneo centrale, mentre tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno ostacolato l’attività delle navi umanitarie, senza fornire alternative alla loro presenza in mare. Nel frattempo sono stati spesi 540 milioni di euro dall’Italia per missioni navali nel Mediterraneo, ma nessuna di esse prevedeva compiti prevalenti di ricerca e salvataggio.

Negli anni, si è inoltre aumentato progressivamente il contributo italiano alla Guardia Costiera libica, che si è rivelata complice dei trafficanti di esseri umani e ha operato in mare per riportare in 4 anni circa 50mila – 12mila solo nel 2020 – uomini, donne e bambini innocenti verso i “lager libici”. Condannandoli, in larga parte, ad un circuito infernale di perenne esposizione a torture ed abusi indicibili.

Meno noti sono i numeri attuali delle persone detenute nei centri ufficiali: secondo le stime delle Nazioni Unite attualmente nei centri ufficiali ci sono tra le 2mila e 2.500 persone, ma le agenzie Onu ancora oggi, non hanno accesso a tutti i centri di detenzione e la cifra la cifra appare dunque sottostimata. Più difficile invece, stabilire quante persone si trovino nei centri non ufficiali di Bani Walid, Kufrah, Shywayrif, Brak-al-Shati, diventati veri e propri campi di tortura.

Di fronte a tutto questo le politiche di evacuazione e di reinsediamento si assestano su numeri molti bassi – 6.186, di cui 811 nel 2020 – e questo a causa della mancanza di una volontà politica di fondo ad accogliere persone provenienti dalla Libia. L’unico programma che sembra funzionare è quello dei rimpatri volontari organizzati dall’OIM, anche se è poi difficile capire quanto siano “volontari”, rappresentando per quelle persone di fatto l’unica opzione concreta per uscire dalla Libia.

L’appello al Parlamento

In questo quadro oggi Oxfam – assieme a Medici Senza Frontiere, Mediterranea, Sea Watch, Emergency e Asgi – ha quindi lanciato un appello congiunto al Parlamento, chiedendo di istituire quanto prima una Commissione di inchiesta, che indaghi sul reale impatto dei soldi spesi in Libia e sui naufragi nel Mediterraneo; e di votare un testo che impegni il governo a cambiare l’approccio con il quale l’Italia ha perseguito le sue politiche migratorie. Innanzitutto interrompendo quanto prima l’accordo Italia-Libia e non rinnovando le missioni militari nel Paese, ma al contrario prevedendo un piano di evacuazione dei migranti intrappolati nei centri di detenzione ufficiali e non. Non per ultimo, chiedendo l’istituzione di una missione navale europea con chiari compiti di ricerca e salvataggio dei migranti in mare.

Serve oggi più che mai un’azione decisa e tempestiva per gestire e regolare gli ingressi, perché mentre la politica continua a tergiversare concentrandosi solo su come impedire gli arrivi, migliaia di persone in fuga da guerre, persecuzioni e miseria muoiono in mare o sono vittime di orrori indicibili.

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