Cinque anni fa la Consulta aveva in pratica darto il via libera al cognome della madre dei figli nati nel matrimonio. Ed è la stessa Consulta che oggi si interroga se è costituzionale la regola prevista dal codice civile di assegnare al figlio solo il cognome del padre. Una questione, un nodo giuridico che la stessa Corte costituzionale ha deciso di sciogliere sollevando davanti a se stessa questione di costituzionalità. I giudici si erano riuniti oggi in camera di consiglio per esaminare la questione di legittimità sollevata dal Tribunale di Bolzano sull’articolo 262, primo comma, del Codice civile là dove non consente ai genitori di assegnare al figlio, nato fuori dal matrimonio ma riconosciuto, il solo cognome materno. Ma è andata oltre. Visto che, come fa sapere l’ufficio stampa, in attesa del deposito della richiesta, ha deciso di sollevare davanti a se stessa la questione di costituzionalità del primo comma dell’articolo 262 del Codice civile che stabilisce come regola l’assegnazione del solo cognome paterno. La Corte ha ritenuto che tale questione sia pregiudiziale rispetto a quella sollevata dal Tribunale di Bolzano. Le motivazioni dell’ordinanza saranno depositate nelle prossime settimane.

Nel 2016 i giudici avevano stabilito che fosse “indifferibile” un intervento del legislatore per riformare in maniera organica “secondo criteri finalmente consoni al principio di parità” la questione del cognome da attribuire ai figli. Da allora però non era cambiato niente o quasi, con i progetti di riforma rimasti al palo. Non è la prima volta che la corte solleva in autonomia una questione, ma si tratta di decisioni poco frequenti e che hanno un peso. E che in genere hanno portato a pronunce di incostituzionalità.
Il giudice relatore della decisione è Giuliano Amato, lo stesso della sentenza del 2016, che già dette un colpo di piccone all’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, dichiarandola incostituzionale “in presenza di una diversa volontà dei genitori”. Quella sentenza, che riponeva comunque le sue speranze nella capacità di intervento del Parlamento, definì l’impossibilità per la madre di dare al figlio sin dalla nascita il proprio cognome “un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare“. Ora si potrebbe aprire un altro varco, nel nome della parità.

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