L’Italia e il Regno Unito hanno superato la soglia critica di cento vittime per centomila abitanti, rispettivamente 114 e 101. La Lombardia ne piange più del doppio: 241, una cifra prossima alla mortalità della pandemia Spagnola di cent’anni fa.

Il Covid-19 sta scavando un solco profondo tra mondo occidentale e orientale: il tasso di mortalità giapponese, in un paese ancora più invecchiato dell’Italia, resta cento volte inferiore a quello lombardo. Quello coreano è 200 volte più basso. Cent’anni fa, la mortalità in Giappone fu leggermente superiore a quella anglosassone, più o meno simile a quella francese e tedesca, mentre in Cina fu almeno doppia. In Indonesia, quadrupla.

Soltanto i posteri potranno capire se il disastro sia dovuto alla governance, politica o sanitaria o entrambe. Oppure, più nello specifico, sia legato all’incapacità di condurre screening efficaci ed efficienti, condizionato dal contesto sociale e dagli stili di vita, conseguenza di economia o demografia o clima o tutti assieme, innescato da particolari predisposizioni genetiche o, più semplicemente, dal destino cinico e baro. Sempre che la memoria non si perda come sfumò rapidamente ogni memoria della Spagnola.

L’attuale pandemia sta precipitando l’occidente intero e i suoi frammenti più deboli, come Italia e Regno Unito, nella decrescita infelice: “il mondo ci sta trattando male” (Lennon & McCartney, Misery, Liverpool: Northern Songs Ltd, 1963). Misery vuol dire infelicità piuttosto che miseria. E la crescita dei fenomeni depressivi porge la testimonianza più crudele.

La politica sembra incapace di consolidare nella società una linea di difesa. Lo dimostrano l’assalto alla metro milanese da parte degli assatanati dello shopping, la folla che ha invaso i centri storici nel fine settimana prenatalizio, l’insensibilità con cui la gente saluta ogni rilassamento delle norme coercitive. E la scarsa empatia generazionale ha fatto spendere fiumi d’inchiostro.

Le questioni particolari, pur salienti, rubano l’attenzione. In una seduta della Camera dei Deputati, l’onorevole Giuseppe Giuffrida interrogò il ministro delle Poste per sapere se e quando intenda concedere al personale dipendente dal suo Ministero una indennità di epidemia, che lo compensi dei disagi e dei pericoli affrontati.

Ed emersero disparità incomprensibili, segnalate dall’onorevole Pasquale Materi in un’analoga interrogazione per conoscere le ragioni per cui, mentre a tutto il personale dell’amministrazione ferroviaria non esclusi gli avventizi straordinari è stata concessa l’indennità per l’epidemia oltre all’aumento del 30 percento, solamente la classe dei medici di reparto è stata esclusa da ogni benefìcio.

A differenza delle due grandi guerre del ‘900, la memoria della Spagnola si spense presto. La gente rimase talmente sconvolta da quella devastante esperienza che scelse di proteggersi cancellandone il ricordo. Laura Spinney racconta che l’impatto della “madre di tutte le pandemie” sulla comunità dei nativi dell’Alaska della baia di Bristol fu così profondo che i suoi anziani consigliarono ai sopravvissuti di “nallunguarluku”, ossia fingere che non fosse accaduto. E, quasi ovunque, si decise di optare per il silenzio, anche se meno esplicitamente (Spinney, L., Pale Rider: The Spanish Flu of 1918 and How it Changed the World, New York: Public Affairs, 2017).

Anche in Italia le testimonianze sono rare. Benito Mussolini, che tra l’incredulità generale accentra oggi il dibattito politico e culturale del paese, tuonava dal Popolo d’Italia: “Basta con questa sudicia abitudine della stretta di mano”. Accadeva al culmine della catastrofe quando non era ancora diventato il Duce che, per tutta la durata della dittatura, non accennò mai a quella brutta storia, che in Italia fece almeno 390 mila vittime su una popolazione di 36 milioni di abitanti (Giovanni Cavina, L’influenza epidemica attraverso i secoli, Roma: Edizioni Pozzi, 1959). Ma il saluto romano diventò l’emblema del regime.

Mia madre (1906-1998) ricordava bene la tragedia del crollo della diga di Molare di cui era stata testimone e moltissimi episodi della sua infanzia, ma mi parlò assai poco della Spagnola, che pur le aveva portato via un fratello maggiore. Studiando le alluvioni, ho imparato che la memoria dei disastri è piuttosto labile. E la pandemia è la madre di tutti i disastri.

Auguro Buon Natale a tutti coloro che seguono questo blog, a cui dedico un piccolo scherzo musicale di occasione: un Natale in lockdown.

Pro memoria. Il catanese Giuseppe de Felice Giuffrida (1859-1920) era un deputato socialista, già promotore dei fasci siciliani. E l’avvocato napoletano Pasquale Materi (1870-1928) rappresentò la Basilicata in Parlamento dal 1909 al 1924. È anche noto per l’interrogazione del 30 luglio 1921 sulle “rimanenze del Condimento Torrigiani riuscito nocivo alle truppe e conservato, in gran parte inacidito, in Via Benedetto Brin (Pesconcello) a Napoli”. Non sono contemporanei, ma potrebbero benissimo esserlo.

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